La bestiola cominciava a cantare ogni mattina alle 5 e 6 minuti, e continuava a farlo fino alle 5,46, sincopando le pause ogni minuto, all’inizio, e ogni due minuti verso la fine; poi si zittiva e riprendeva per qualche altro minuto verso le 6:15.
“Ma io vulesse proprio sapè che ce tene int’ a chella capuzzella sta bestiola” sbottò, dopo molti giorni di questa antelucana serenata, il buon Cosimo, balzando fuori dal letto nel quale si era agitato tutta la notte, vuoi per il gran caldo, vuoi per i peperoni che aveva gustato la sera prima.
Cosimo, e molti di voi lo avranno riconosciuto come vecchio protagonista di numerose storie da me già raccontate in altra testata giornalistica, era, assieme a Damiano, suo fratello gemello, entrambi medici, un santo romano martirizzato nei pressi di Antiochia durante le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano.
Entrambi molto venerati nella nostra città, dove, da santi, avevano eletto invisibile dimora proprio nella chiesa loro dedicata, lungo Via Nicola Gigli.
“Cosimì, ma che succede? Stavo dormendo così bello! Fai semp’ nu sacch e’ casino” gli chiese abbastanza disturbato Damiano.
“Ma ti pare che uno debba essere svegliato nel meglio del sonno da un gallo che si mette a cantare alle 5 del mattino? Ma che và truvanno?”
“Vedi Cosimì, non è lui che vuol fare così: è il nostro Principale che lo ha creato così. È come se tenesse in testa un timer divino che alle 5 scatta e produce tanti chicchirichì. Bisogna accettarlo perché è sempre una creatura divina e noi non sapremo mai a cosa possa essere finalizzato quel suo comportamento”
“Tu dici? Io sapevo che cantava per annunciare l’alba, come se fosse necessario annunciarla e non ce ne accorgessimo da soli”
“Sì, può essere; è la teoria più accreditata”
“Allora mo’ mi devi spiegare una cosa: perché si dice che spesso canta ncoppa ‘a mmunnezza? “
“Cosimo, quella frase è un traslato: vuol dire che un gallo, conscio delle sue qualità canore, ma solo lui ed abbastanza presuntuosamente, pur di far sentire la sua voce non esita a cantare anche in situazioni per lui poco dignitose come, appunto, ncopp’a munnezza!”
“E qua di munnezza ce ne sta in abbondanza, per tutte le strade, nei posti più impensati. Forse perciò si esalta e ci dà dentro”
“E tu come al solito, non hai capito niente. La monnezza ci sta, è vero; sta’ città è sporca come poche volte lo è stata. Ma quello del gallo che canta è un traslato, ripeto, un modo di dire, e indica non una bestia, ma un uomo che pur di parlare e di glorificarsi per inesistenti meriti, continua a vantarsi, a raccontare frottole, ad illudere la gente, a nascondere la reale situazione delle cose e mira a coprire con tanti chicchirichì un vuoto cosmico; uno che tenta di addolcire con il canto la presenza di monnezza tutt’intorno. Ed accade sempre che molti gli credano ed anzi siano sempre più attratti dal suo canto e dimenticano il puzzo ambientale; mentre lui si esalta e si innalza, contento non si sa bene se più per il fatto di saper cantare o più per aver preso ulteriormente per il sedere tanta gente. Mò hai capito?”
“Mò siiii; mò è tutto chiaro. Quant’è bella la cultura!”
“Mò però non sfottere e torna ‘a durmì”
“Si, si, nun te preoccupà. Ah, a proposito, ma non c’entra niente con questo che abbiamo detto, ma sai quando cominciano i lavori di riapertura del nuovo grande ospedale, quello che sarà “il Monaldi di Teano”, che si realizzerà solo grazie alle influenti conoscenze personali del Sindaco? Sai sono preoccupato perché arriveranno altri rumori a disturbarmi il sonno, e non vorrei”.
“Noooo; allora stai tranquillo. Dormiremo sogni tranquilli per altri millesettecento anni, come in questi trascorsi dal nostro martirio: l’ospedale, come tante altre fantasie, resterà tale: uno specchietto per le allodole e nulla più. È notizia ufficiale. Altra presa per i fondelli”
“Le allodole? E che c’entrano mò le allodole?”
“Cosimì: il gallo canta, spesso e volentieri anche sulla monnezza, e le allodole lo stanno ad ascoltare, e gli credono, perché non sono solo allodole, ma anche allocchi! Duorme, famm ‘o cacchio du piacere, Cosimì; duorme!”.
“Santa notte, Damià”.
“Santa notte, Cosimì”.
Claudio Gliottone