Una tra le più belle e interessanti relazioni agli scavi relative a Teano e al suo territorio, scritta con stile agile e comprensibile, persino piacevole, fu quella redatta da Ettore Gabrici agli albori del 1900. In un fondo di proprietà del Teanese Luigi Nobile, si rintracciava sporadicamente qualche tomba durante il periodico riassetto del florido oliveto. Nel 1907 il proprietario, con l’ausilio del Caleno Casto Zona, avvocato, chiese e ottenne una licenza ministeriale per effettuarvi scavi archeologici sistematici.
Le investigazioni protrattesi per nove mesi, in due tempi, furono fruttuose e intriganti. La prima dal 21 gennaio al 20 maggio del 1907, la seconda in rapida successione dal 21 maggio al 20 settembre del medesimo anno consentirono la scoperta e lo studio di una necropoli urbana di grande interesse. Lo stesso Gabrici, che non partecipò direttamente agli scavi, ma si servì dei diari ed esaminò personalmente diversi reperti fu rapito da travolgente entusiasmo e lo si nota nella scrittura partecipata e avvincente. Fa una descrizione accurata delle tombe più interessanti, proiettandoci in un universo vigoroso di colori, forme, dimensioni, suggestioni appassionanti. "Il listone superiore è ornato di sei ovuli che si succedono in quest’ordine di colori.: rosso, caffè, azzurro. lo spazio tra gli ovuli è dipinto per metà di color bruno, per metà di color giallo; i dentelli sottostanti sono neri. L’ornato sulla faccia interna del timpano, molto complesso, consiste in una palmetta a colori rosso e bruna, uscente da più calici di fiori, l’uno nell’altro, di colore giallo, azzurro, rosso, fiancheggiati da due rami fioriti di colore bruno. (col 21)"
L’Autore della relazione si lascia andare ancora nella descrizione minuziosa e sistematica delle altre tombe "Ben modellate e di tal grazia e gentilezza, da non rimanere inferiori alle belle terrecotte ellenistiche della Grecia propria. Tali sono a preferenza quelle che rappresentano donne avvolte nell’himation con orecchini e corona di foglie d’edera, squisitamente dipinte, come ad esempio quelle delle tombe 44 e 59 " (Raiola colonna 33.) Si lascia sedurre dalla descrizione dei vasi a vernice nera, originale composizione degli artigiani teanesi in grado di ottenere bellissimi effetti con la sapiente composizione di essenziali elementi decorativi. L’entusiasmo del Gabrici assume contorni e valutazioni di un fanciullo a contatto con i ricchi doni di un prodigo Babbo Natale spuntato dall’antichità più fonda e più distante. E qui è una danza di vasi, vasetti, coppe, piatti grandi, piccoli, mezzani. Seducente. In queste tombe fu rinvenuta una produzione ceramica variegata, perfino con iscrizioni in osco e in greco. I vasi a vernice nera abbondano nelle tombe più opulente insieme a vasi a figure rosse, ultimi prodotti di grido. Furono rinvenuti anche oggetti metallici per la toelettatura femminile (servivano per dividere i capelli: fermagli). A onta della rigorosa descrizione dei singoli manufatti la lettura del testo riesce piacevole . Sembra di assistere a contemporanei documentari del National Geographic privi, per fortuna, della presenza ossessiva e ingombrante dell’onnipresente Zahi Hawwas, divo sfolgorante e vanesio della nouvelle vague archeologica egiziana. Il Gabrici focalizza la nostra attenzione su delle splendide laminette d’argento sbalzate della tomba 67, rivestimento di un’arca lignea. Dei pezzi in cui si dispiega un’arte miniaturistica raffinata ed elegante, bella a vedersi, di gusto particolare riproponendo figure mitiche accanto a semplici decorazioni ornamentali stilizzate di grande effetto. L’archeologo focalizza l’atten-zione sullo stile squisitamente locale di questa produzione a sbalzo e delle infinite relazioni con l’arte etrusca e ionica e per gli elementi decorativi e per l’ispirazione del contenuto. Nella dignità del primo frammento ci si svela un’attonita Minerva con galea frigia riproduzione di soggetti già presenti su specchi etruschi e sulla monetazione romana successiva. Il monile al collo della dea è ben frequente nelle raffigurazioni di divinità femminili etrusche. Riscontra ancora elementi di arte orientalizzante diffusi nei manufatti etruschi e ionici, nella sfinge e nel grifo di altri bei frammenti. E si succedono ancora fibule e altri ornamenti femminili. Raffinate esecuzioni di gran pregio di artigiani di alto livello. La descrizione dei singoli oggetti continua ossessivamente precisa fin nei minimi dettagli, ma ripeto sino alla noia con estremo estenuante indice di gradimento da parte del lettore, anche del meno provveduto e attrezzato. È un museo di parole, di concetti, di tecniche e tecnologie, di rabdomanti del buon gusto in una concisa e precisa circonvoluzione del genio artistico. Una prestigiosa silloge di materia e materiali abilmente plasmati da mano d’uomo. Fibule d’oro si affastellano a collane ben rifinite che abbellivano i colli delle vanitose madame dell’epoca, la più sfolgorante, secondo il Gabrici, quella della tomba 76. Ben 45 pendaglietti a ghianda sono connessi fra loro in un risultato di estrema, compiaciuta gradevolezza esaltati dalla sovrapposizione di una testina umana. "Il corrente è ornato e coperto da una rosetta a stampa. Simili pendaglietti di collana si conservano nel Museo Nazionale di Napoli. (col 42-43)" E ancora collane consistenti in lacci a fili d’oro, anelli d’oro d’argento e di bronzo. Una profluvie di oggetti belli a vedersi, a toccarsi, ad annusarsi, a palparsi. E qui la capacità comparativa e analogica dell’autore travalica i confini dell’ordinario, dotta dissertazione con notevoli citazioni di oggetti consimili provenienti dai luoghi più disparati del mondo antico, presente sempre l’ispirazione artistica dell’Etruria, attestazione decisa di una civiltà progredita, raffinata, in continua sorprendente ascesa evolutiva. Degna di nota la saldatura di denti della tomba 18, opera ben riuscita di una definita qualità odontotecnica. Sappiamo bene che gli Etruschi con i Fenici erano versati particolarmente nella fabbricazione di ottime e salde protesi dentarie. Per quanto riguarda gli aspetti etnografici, sono frequenti i richiami attinenti alle necropoli campane, col predominio di quelle di Cuma, Capua e Suessula. "L’architettura delle tombe ci richiama all’Etruria meridionale i cui prototipi si riscontrano a Veio e a Narce." (col 51) Gli specchi con manico piatto terminante a testa di cervo sono per se stessi un genere di monumenti che si riannoda all’Etruria. Ci richiama inoltre la interessante decorazione a sbalzo sull’arca della tomba 67 con elementi di arte orientalizzante ed uno stile che si può dire etrusco. Una evidente impronta etrusca hanno le colonnine in rilievo sulle pareti della tomba . di un ordine ionico singolarissimo." Tre correnti artistiche influenzarono la civiltà della Gradavola: la campana, l’etrusca e l’apula. L’Autore riscontra con sorprendente agilità d’indagine un armonico dispiegarsi dell’evoluzione storica dei Sidicini relativamente alle condizioni del territorio in cui felicemente si insediarono. "(col 52) le pianure che si stendono a sud delle montagne del Matese, in fondo alle quali scorrono le acque del Volturno, erano necessariamente attraversate dagli Etruschi, che fin da tempi remotissimi avevano commercio con la Campania e in special modo con il loro principale stabilimento di Capua. La civiltà più antica dei Sidicini non si mantenne estranea a questa influenza etrusca, come hanno dimostrato luminosamente alcune recentissime scoperte di tombe primitive, da me fatte nell’agro teanese e ancora inedite. . (col 53) la civiltà delle tombe del fondo Gradavola rappresenta una fioritura sul tronco della civiltà campana, di fondo etrusco, per opera di un popolo forte che in tutte le sue manifestazioni ha una impronta di originalità." Una osservazione piuttosto atipica porta a riflettere sul perché a fronte dell’abbondanza di epigrafi di vario genere in Latino e alla presenza relativamente consistente di iscrizioni funerarie in lingua osca, per quanto ne sappia, non è stato ancora ritrovato neppure una minima traccia di iscrizioni in lingua etrusca. Nonostante la vicinanza dell’antica Capua (l’attuale S. Maria C.V.)cospicuo Centro etrusco, il cui Museo ospita la nota "tegola di Capua" e altri documenti in caratteri etruschi. Le diverse prove storiche documentali indussero il Gabrici a pensare che la suppellettile funebre della Gradavola fosse di produzione locale, tranne alcuni particolari reperti tipo le coppe di Cora, le terrecotte più raffinate, le grandi auree fibule, per le quali propendeva per una fabbricazione locale a opera di artisti etruschi o al massimo capuani o cumani. Causa dell’uniformità degli oggetti scoperti i limiti cronologici attribuibili alla necropoli Nobile indagati dovettero essere molto concentrati. Il limite cronologico massimo alla datazione di questa necropoli non si protrae oltre il secondo decennio del III secolo. Di questo scavo esuberante e produttivo solo qualche quotidiano se ne interessò marginalmente. Come già detto, il Gabrici non diresse gli scavi, si basò per la sua circostanziata relazione sui giornali di scavo, gli elenchi descrittivi di archivio e soprattutto sugli appunti messi a sua disposizione dall’impareggiabile Matteo della Corte che presenziò all’ultimo periodo dell’indagine archeologica di questa fulgida necropoli e che si preoccupò di far fare schizzi e sezioni di tombe. Il Gabrici stesso si portò più volte a Teano dal proprietario del fondo, dove esaminò i ritrovamenti da lui avuti dopo la divisione. Il Nobile gli permise inoltre di prendere appunti e fotografare molti manufatti. Il museo nazionale di Napoli ebbe la quarta parte di questo prodotto di scavo, secondo legge, acquistò inoltre diversi oggetti riuscendo così ad avere tutto il corredo funerario delle tombe 34, 58, 79 insieme al materiale architettonico delle tombe 58 e 79 ricostruite poi nel giardino del cortile occidentale del Museo stesso. Il Museo di Palermo si aggiudicò la Kilyx della tomba 66, con la testa di Kora in rilievo e il bel corredo della 83 con la coppa con l’iscrizione greca graffita. Il Museo di Firenze, infine, acquistò una ben selezionata serie di reperti e l’intero corredo funerario delle tombe 36 e 118. Minima parte dei ritrovamenti di quella fortunata stagione si possono osservare a tutt’oggi nel Museo Archeologico Nazionale a Teano. Si deve a Ettore Gabrici, nel 1915, la ripresa degli scavi della città di Selinunte e dei santuari. Gli scavi vennero in particolar modo rivolti al santuario di Demetra Malophoros, compilando uno studio in quattro volumi pubblicato in "Monumenti Antichi dei Lincei" ancora oggi fonte indispensabile per la conoscenza delle architetture selinuntine. Roma si peritò di intitolargli una via importante, altre gliele dedicarono Agrigento e Palermo. Il museo archeologico nazionale San Nicola di Agrigento gli attribuisce in meritato omaggio la sala III contenente importanti collezioni vascolari. Il Museo A. Salinas di Palermo denomina sala Ettore Gabrici la sala V dell’importante istituzione, dove troneggiano le terrecotte architettoniche e le sculture da Selinunte. Di immenso valore sono il Frontone orientale del tempio C di Selinunte e la grande Maschera di Gorgone a rilievo. Allo stato attuale la sala è adibita a uso didattico e dispone di attrezzature per la proiezione di audiovisivi e di un video sulla formazione delle collezioni del Museo. L’eminente studioso fu una delle figure più rilevanti della cultura siciliana del secolo passato con Michele Amari e Antonio Salinas . Organizzò la biblioteca "tecnica" del Museo Nazionale di Napoli, agli inizi del ‘900, comprendendo fondi più antichi – come la Libreria del Medagliere – raccoltisi presso la Direzione del Museo Borbonico, dai tempi della sua fondazione, nella seconda metà del ‘700. Nacque a Napoli Ettore Gabrici nel 1868 e morì vecchissimo a Palermo nel 1962, storico, archeologo ,numismatico, saggista decisamente di carattere schivo e riservato al punto tale che di lui restano esigue tracce biografiche. Non sarebbe male se Teano su esempio di Agrigento, Palermo e Roma si sforzasse a intitolargli una via o una piazza, uno slargo, uno spiazzo, un vicolo almeno, accantonando per un poco pretenziose quanto a noi estranee glorie della politica o del bel mondo di cui rigurgitano in eccesso vie , piazze, calli e campielli del nostro damerino, spesso ingrato Bel Paese, inguaribile ammalato di protagonismo. Ringrazio vivamente, inoltre, l’Amico e Pupillo, Luogotenente Luigi di Benedetto, attento e appassionato cultore della materia, per avermi fornito in fotocopia lo studio di Ettore Gabrici, fondamentale, insieme agli studi citati in supporto bibliografico, per la stesura piuttosto telegrafica del presente scritto. Supporto Bibliografico (essenziale) Antuono C., "Il Museo Archeologico di Teano è realtà", in: Civiltà Aurunca, A.XVII, n.41, 2001. De Filippis A., Svanera S., Gialanella C., "Napoli Museo Archeologico Nazionale: di alcuni corredi dalla necropoli di Teano, fondo Gradavola", in Bollettino di Archeologia, 37/38 (1996). Gabrici E., "Necropoli di età ellenistica a Teano dei Sidicini", in: Monumenti Antichi dei Lincei XX, 1910. Gasperetti G., Archeologia e lavori pubblici: l’esperienza del Treno ad Alta Velocità in Campania, in: Sirano F., "In itinere", Cava dei tirreni 2007. Miele F., "Le stele funerarie ad edicola delle necropoli in località Orto Ceraso e Gradavola di Teanum Sidicinum", in Italica ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il premio I Sanniti, a cura di Domenico Caiazza, Piedimonte Matese 2005. Pena M. J., "Influenze etrusche sulla coroplastica della Campania settentrionale. La stipe arcaica di Fondo Ruozzo (Teano)", in: Secondo Congresso internazionale etrusco, atti, Firenze, 26 maggio-2 giugno, Roma, G. Bretschneider, 1989, 3 v Phillipp H., voce "Teanum Sidicinum", in Paulys Real-Encyclopadie der classischen Altertumswissenschaft, V.A.1, 1934. col. 97 e ss. Poccetti P., Nuove iscrizioni vascolari dei Berii di Teano, Rendiconti dell’Accademia di Archeologia di Napoli, 59, 1984. Torelli M., Necropoli dell’Italia antica, Milano 1982.
Giulio De Monaco