Negli anni novanta, per ben tre stagioni e 52 episodi complessivi, andò in onda, su Rai2, la serie televisiva “I ragazzi del muretto”. Raccontava dei problemi quotidiani di un gruppo di amici che si riunivano attorno ad un muretto di piazza Mancini, nel quartiere Flaminio di Roma, ed affrontavano tra loro i temi più vari, dai primi amori adolescenziali ai problemi scolastici, alla droga, al razzismo, all’aborto, all’omosessualità, alla solitudine degli anziani e via discorrendo. Fino a qualche decennio prima anche noi, allora ragazzi, avevamo il nostro “muretto” presso il quale riunirci ed affrontare più o meno gli stessi temi; era rappresentato dai “poggetti di fuori il Vescovado”. E ricordo con nostalgia la risposta che, entrambi poco più che quattordicenni, una mia amica dette, scrivendola con la stessa matita sulla superficie di appoggio di uno di quei poggetti, ad una mia precisa domanda: “anche io”! E fu la mia prima fidanzatina! Cito il fatto personale solo per dare l’idea di quale punto di riferimento per una progressiva maturazione e socializzazione rappresentassero quei “poggetti” per noi adolescenti di allora. Sicuramente è esistito in tutti i paesi d’Italia un “muretto” luogo d’incontro per quella difficile età, e non solo; e sicuramente in altri paesi, come nel nostro, il mutare dei tempi e dei costumi, ha portato i giovani a riunirsi in altri posti, in altre sedi, magari con diversi e più moderni orientamenti mentali, non senza il diversivo di qualche sigaretta o qualche sorso di alcolici, ad essere ottimisti: i bar, le discoteche, i pub, i wine bar. In qualche altro paese, al contrario, quei posti sono rimasti gli stessi, protesi a salvaguardare una funzione ed una storia che si rinnovava di generazione in generazione, e questo solo per l’attenzione e la cura che le Amministrazioni Comunali del luogo hanno sempre ritenuto di accordar loro. Non è accaduto a Teano, dove il progressivo spopolarsi del centro storico ha travolto ogni usanza e costume con impressionante velocità, diluendo nello spazio, e conseguentemente nel tempo, ogni sana e costruttiva occasione di incontro e di maturazione sociale: e le conseguenze si toccano con mano. Ed anche quello spopolamento è figlio di malaccorta gestione sociale nella salvaguardia del centro storico, nel recupero edilizio, nella attuazione di un piano colore del quale si è sempre parlato, ma solo parlato, nella incentivazione di motivi di vivacità, nella preservazione di tradizioni storiche. A poco è pur valso qualche sporadico lungimirante tentativo, come la creazione del Museo Archeologico o la riattazione del complesso dell’Annunziata o dell’Istituto Regina Margherita, proprio per il deserto che si è lasciato crescere attorno ad essi. Un banalissimo e piccolissimo esempio di quanto vado affermando è proprio quel “poggetto” disastrato di fronte all’ex – ospedale (o “presidio ospedaliero”, giusto per essere al passo con i tempi che prevedono l’uso di almeno tre parole dove prima ne bastava una sola, anche se nei fatti quell’edificio non è né l’una né l’altra cosa), che il nostro sagace Direttore ha eletto a simbolo ed emblema della nostra civica e costituzionale sciatteria. Così, mentre i dardi infuocati del sole di luglio bombardano la nostra città e, ove mai ve ne fosse ancora bisogno, le nostre menti assopite, le strade del territorio si riempiono di sterpaglie riducendo le carreggiate, l’acqua diventa merce sempre più rara, il traffico cittadino, per sparuto che sia, diventa sempre più caotico e via di questo passo.
“Ahi sventura! Sventura! Sventura!” cantava il Manzoni nella tragedia “Il conte di Carmagnola”.
Claudio Gliottone