Siamo costretti, nostro malgrado a tornare sull’argomento PUC (Piano Urbanistico Territoriale), non prima , però, di fare un dovuto plauso al Sindaco di Teano per essere riuscito finalmente a dotare dopo 30 anni la Città di uno Strumento Urbanistico. Discutibile o meno, questo è compito dei Tecnici e dei Professionisti del settore. Reddite quae sunt Caesaris Caesari. Siamo costretti, dicevamo, poiché a seguito di un articolo della validissima Ilaria Esposito, si è scatenata una vera e propria serie di filippiche (orazioni), originate dal commento all’articolo da parte di un Architetto-Storico-Archeologo a mezzo Facebook. L’Architetto così commenta il pezzo della Redattrice: “Un pessimo articolo: cosa significa che non bisogna guardare a ritroso? Che occorre essere audaci? Audaci in che? Teano è fortemente degradata perché non ha saputo guardare al suo illustre passato…….”. A prescindere dalla saccenza con cui viene apostrofato uno scritto e/o una opinione di chicchessia (art. 21 Costituzione), questo modo di porsi, avendo memoria storica, non l’ho trovato (denuncie o esposti formali) da parte di certi Architetti né quando furono realizzate certe mostruosità a ridosso del fiume Savone, in barba a determinati “vincoli e tutela della salvaguardia del territorio”, né quando, Amministrazione Balbo, si ipotizzava l’interramento del Savone per realizzarvi una strada di collegamento. Ma questa è storia locale. Al contrario, cercando di comprendere le contorsioni mentali dell’Architetto sono addivenuto al fatto che probabilmente, oltre alla saccenza, vi è poca dimestichezza con l’interpretazione della lingua italiana là dove leggo nell’articolo di I. Esposito che: “…..Per tali motivi, progettarlo adeguatamente (il PUC) significa sposare uno sviluppo sostenibile, flessibile, nel rispetto della vocazione del proprio territorio sotto il profilo fisico, economico-sociale, storico-culturale, paesaggistico nonché giuridico”. Di grazia dove sarebbe l’offesa o l’oltraggio “all’illustre passato” di Teano?
Quando intrapresi questa avventura della Direzione di questo Giornale, nel salutare la mia Città, così esordii: “L’animo, i sentimenti, l’ardore sono sempre gli stessi. Talmente forti ed indissolubili che, a tratti, sembrano ripiegarsi su se stessi. Un rimuginare all’infinito. Giusto, giustificato, ma a tratti ingessato, quasi rassegnato ad un (non)procedere fermo e statico nel tempo. I marciapiedi (“sotto i platani”), che costeggiano l’ultima curva che mena al “Largo Croci”, sono ancora quelli che ricordiamo noi degli anni ’60. Tutto lascia ancora, nel terzo millennio, presagire che le Amministrazioni che si sono succedute, anch’esse ripiegate su se stesse, ingessate, non hanno minimamente masticato un minimo di “marketing territoriale”. Sindaci Avvocati, Ingegneri, Medici, Deputati con Laurea in scienze della comunicazione, Marketing e comunicazione. Eppure, bastava e basta così poco per cambiare perlomeno un minimo l’aspetto di una Città, quale è Teano. Una proiezione al presente, al futuro che stenta a farsi strada. Ripiegata su se stessa, ingessata, timida ed intimorita nell’osare. “Dove eravamo rimasti…..?” Là dove eravamo….. forse, ma ancora non ce ne siamo avveduti, forse”. Non stanno forse qui le parole di Ilaria Esposito tutte protese ad un invito a guardare il “passato” con occhi moderni per sfruttarne le opportunità (marketing e archeologia): “Guardando a ritroso si rischia di ragionare, così a ritroso. Bisogna adesso credere nel nostro territorio, sviscerare tutte le potenzialità per seminare opportunità. Vedere più lontano, per volare più lontano, per potere più lontano. Risanare un presente per garantire un futuro; il più prossimo possibile, il più proficuo possibile. Ritornare ad essere più che una città di sognatori, una città fatta di persone audaci, pericolosamente audaci, sempre nuovamente audaci. Una comunità fatta di persone che sceglie di restare perché qui è casa, perché qui si può fare ancora casa”. In conclusione, non vorremmo rischiare, che per il giusto amore del passato, non si resti con lo sviluppo della testa ingessato, mummificato ed ancorato al passato, e perciò vittima e succube del passato che non viene, così, né sfruttato, né valorizzato, né esaltate socialmente ed economicamente le sue potenzialità. “Dove eravamo rimasti…..?” Là dove eravamo….. forse, ma ancora non ce ne siamo avveduti, forse”.
Pasquale Di Benedetto