Il Risorgimento, fase cruciale di gestazione dell’Italia contemporanea, nella memoria collettiva di molti italiani è percepito come un periodo su cui non è più necessario interrogarsi, oppure, all’opposto, come un dato da rimettere in discussione quanto alla sua epica tradizionale: l’eroico risultato delle gesta di un pugno di audaci – Garibaldi, Mazzini, Cavour… – che spezzarono il giogo straniero finendo immortalati nella toponomastica di tutte le città d’Italia. Ai più, quegli eventi appaiono legati da un percorso lineare quanto ineluttabile. Invece, l’incertezza, l’azzardo, il rischio segnarono tutta l’avventura risorgimentale; molti in Europa, ancora all’indomani della proclamazione del Regno, sarebbero stati pronti a scommettere sul fallimento dell’impresa (e dello Stato).
In realtà, le rivoluzioni risorgimentali dal 1820 al 1860 sconvolsero il sistema politico creato dal Congresso di Vienna, avviando tra i ceti dirigenti, e in parte anche tra le classi popolari, quel processo di «costruzione della nazione» che avrebbe gettato le fondamenta dello Stato italiano. Fu un processo che si sviluppò fra mille limiti e difficoltà: la rottura fra moderati e democratici; la presenza dello Stato della Chiesa come fattore destabilizzante dell’unità appena ottenuta; il malcontento sociale, l’instabilità politica, l’endemico stato di rivolta delle campagne; un assetto assai tradizionale dei rapporti di produzione; e non da ultimo la presenza di un sistema economico geograficamente molto squilibrato.
Il libro di Lucy Riall restituisce nuova vita a questo periodo chiave della nostra vicenda nazionale, offrendone una dettagliata ricostruzione storiografica che muove da un originale approccio per tematiche: dalla storia sociale dell’Italia preunitaria all’analisi delle ideologie nazionalistiche, dalle dinamiche dello sviluppo economico agli assetti politico-istituzionali dell’ancien régime, fino alle recenti acquisizioni della nuova storia culturale.