Non solo botte, ma anche intimidazioni, umiliazioni, vessazioni piccole e grandi che rendono la vita della donna più faticosa, più difficile, peggiore, a volte insopportabile, perpetrate da maschi che le giustificano spesso come una forma di troppo amore. Sono tante le donne che subiscono in silenzio, che non riescono a ribellarsi, che finiscono per credere di meritare il trattamento che ricevono, perché è stata loro tolta qualsiasi forma di autostima. Ma una via di uscita c’è e chi l’ha trovata ha gli strumenti giusti per aiutare anche altre a venirne fuori. E’ questo il senso della campagna lanciata oggi da tre realtà che hanno unito le forze per lavorare allo stesso obiettivo: dire basta alla paura.
Soccorso Rosa, il centro antiviolenza del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano, insieme a Ops Objects Onlus e all’associazione Fare x bene, promuove una campagna di comunicazione nella quale le protagoniste sono proprio loro, le donne che sono state oggetto di violenze, abusi, minacce, stalking e che sono riuscite, cercando l’aiuto di persone specializzate, a riprendere in mano la propria vita e a ricominciare a vivere. "L’obiettivo", spiega Nadia Muscialini, psicologa clinica, responsabile di Soccorso Rosa, "è dire che se ne può uscire cercando il canale giusto. Il primo riferimento è il numero nazionale 1522 i cui operatori indirizzano chi chiama verso icentri antiviolenza accreditati in base a dove la donna vive. Bisogna andare dove c’è esperienza e i nostri spot suggeriranno di chiedere aiuto dove ci sono persone che fanno questo di mestiere". E gli uomini? "Avremo testimonianze anche di uomini che hanno maltrattato le loro donne e poi hanno accettato un aiuto specializzato per cambiare".
Per l’occasione Ops Gioielli ha creato un braccialetto il ricavato della cui vendita andrà a sostegno di alcuni progetti sempre finalizzati alla lotta alla discriminazione e alla violenza. Il primo è un libro, che verrà pubblicato il 25 novembre. "Nasce dalla nostra esperienza di incontri fatti nelle scuole del Comune di Milano e di Comuni limitrofi ormai da qualche anno", racconta Muscialini. "Abbiamo fatto diversi incontri con i ragazzi delle scuole secondarie di primo grado sull’educazione alle differenze di genere, alla nonviolenza e al rispetto, alla gestione di conflitti attraverso la mediazione usata al posto della violenza. L’idea è di replicare l’esperienza fatta nelle scuole di Milano per estendere il progetto a Roma e Napoli". Lo scopo è cercare di "modificare una cultura della violenza, che ci insegnano già da piccoli, basata su stereotipi, che giustificano una distinzione dei ruoli in cui donna è considerata come contorno, stile velina, rispetto all’uomo che invece è il protagonista".
Un’educazione di cui c’è senz’altro un gran bisogno a giudicare dalle risposte date ai questionari sottoposti ai ragazzi di 12-13 anni delle scuole milanesi. "Spesso si tende a giustificare le violenze in famiglia attribuendone la causa all’alcolismo, alla tossicodipendenza, a disturbi psichici, stress o gelosia. La maggior parte dei ragazzi crede che la violenza all’interno della coppia sia una questione privata sulla quale nessun estraneo ha il diritto di intervenire. E la violenza sulle donne viene vista come un’azione occasionale causata da una momentanea perdita di controllo da parte dell’uomo indotta dalle provocazioni della donna stessa. Sono poi molto diffusi a tutte le età", spiega la psicologa, "i miti sull’amore che correlano questo sentimento alla sofferenza, del tipo “più si ama più si soffre e più si fa soffrire”. L’uso della violenza nelle relazioni d’amore finisce allora per essere considerato da molti preadolescenti un correlato necessario, sia quando è agita da un maschio su una femmina che viceversa".
Ma prima ancora di arrivare alla violenza stupisce come per preadolescenti e adolescenti le differenze di ruoli tra uomo e donna sembrino essere ferme agli anni Cinquanta: "E’ molto radicata la convinzione che la donna debba avere un ruolo subordinato all’uomo in famiglia e nella società e che possa avvenire che “si meriti” di essere vittima di abusi e maltrattamenti. Sulla base di questi dati ci siamo convinti che un’analisi critica degli stereotipi presenti nella società e nei giovani possa essere il miglior strumento di prevenzione e educazione nella lotta contro i femminicidi e la violenza di genere".
"Le donne che arrivano ai nostri centri in elevatissima percentuale hanno figli" spiega la responsabile di Soccorso Rosa, "che in famiglia assistono al fatto che la donna viene costantemente umiliata, che non le è permesso di uscire, viene picchiata. Essere continuamente a contatto con questo modello di comportamento in molte famiglie, in cui è normale che l’uomo umili la donna, viene assorbito dai ragazzini e si cresce pensando che sia normale". E i casi sono tanti, tantissimi. "Al nostro Pronto Soccorso dei primi 10 mesi del 2013 abbiamo avuto 300 casi di donne che hanno dichiarato di essere state aggredite da persone note, nella maggior parte dei casi in famiglia, ovvero dal proprio compagno".
Forse però siamo finalmente a una svolta. Proprio questa recrudescenza di violenze, ma soprattuttto il fatto che se ne parli tanto, potrebbero essere il segno di un’epoca che sta per finire, e dell’inizio di una nuova pagina nella storia dei rapporti tra uomini e donne in cui queste ultime prendono finalmente consapevolezza di non "meritare" di essere cittadini di serie B. "L’uomo certo frena, nel tentativo di evitare che questa presa di coscienza si trasformi in reale emancipazione, perché ha paura di perdere il proprio ruolo. Ma questo è un momento cruciale, in cui siamo pronti culturalmente e legislativamente, al cambiamento. Dobbiamo solo fare l’ultimo passo che è quello di riconoscere come normale il desiderio delle donne di non dover più subire".
"E per aiutare quante stanno lottando, un’altra parte del progetto riguarda la possibilità che l’associazione Fare x bene offra consulenza e assistenza legale gratuita alle donne che accedono al nostro centro", racconta Muscialini. Perché l’assistenza medica e psicologica a volte non bastano: a queste donne serve anche un aiuto pratico. Ma il messaggio "Io non ho paura" ci riguarda tutti, non solo chi subisce violenza ma anche chi vi assiste e pensa che non siano fatti suoi. "Ora la legge ci dà gli strumenti, perché chiunque può fare una segnalazione quando viene a conoscenza di maltrattamenti in famiglia. Perciò se vedete una donna depressa, se avete un dubbio che una collega o un’amica possa subire dei maltrattamenti, fatele delle domande e siate disposti ad ascoltare". E’ così che tutti noi cittadini possiamo diventare soggetti attivi nella risoluzione del problema della violenza sulle donne.
di Marta Buonadonna