Quant’è bello l’italiano!
Non mi riferisco all’uomo, ma alla lingua italiana; la più neolatina del gruppo, la più dolce ed espressiva sulla bocca dei poeti, la più chiara nelle descrizioni scientifiche, la più esaustiva nell’immaginario, la più plastica nel discorso ideologico, la più recettiva ai neologismi. Bellissima sia nella completezza leggera e descrittiva del Manzoni, che nella essenzialità dell’ermetismo di Ungaretti; adattabile al particolareggiato di un quadro fiammingo, come ad una pennellata sintetica dell’impressionismo.
Godiamocela questa bella nostra lingua; godiamocela in tutte le sue manifestazioni. Parliamo in italiano, non per stupido patriottismo, ma per amore della bellezza.
Esaminiamo qualche termine, così per fare un esempio, e per divertirci un po’.
Non so perché, ma mi viene in mente il termine “boria”! Orbene la boria, per definizione semantica, definisce una “vanitosa ostentazione di sé e dei propri meriti reali o immaginari”; ne sono sinonimi l’alterigia, la vanagloria e la … burbanza!
Possiede boria chi è talmente convinto di essere il più bravo di tutti e di essere il solo capace a pensare e ad attuare certe cose, che sente l’incontenibile bisogno di pubblicizzare ed esaltare se stesso, e le cose che ha fatto o che intende fare, addirittura prima di averle fatte.
Un gradino prima, ma solo un gradino, sta necessariamente la “presunzione”, definita come la “opinione esagerata del proprio valore e della propria importanza”, che potremmo tranquillamente definire come la genitrice della boria.
Quindi “opinione esagerata del proprio valore e della propria importanza” che genera una ”vanitosa ostentazione di sé e dei propri meriti reali od immaginari”.
Le due cose sarebbero, pur se a fatica, anche accettabili in qualcuno che poi, con i fatti, e solamente con i fatti, dimostrasse tutto il suo presunto valore. Mi viene al riguardo in mente il grande pugile Cassius Clay quando, zompettando sul ring dopo aver atterrato l’ennesimo altro campione, gridava: “sono il più grande, sono il più forte”. E diceva il vero; anche perché asserire il contrario sarebbe stato un po’ pericoloso per chi lo avesse fatto. Lo definireste “borioso”? Si trattava certo di una “ostentazione dei propri meriti”, ma questa non era certo vanitosa e quelli erano certamente reali e non immaginari.
Ma la boria ha anche un altro e forse più deprecabile aspetto: quello di manifestarsi anche ed ancora quando, pur avendo avuto all’atto pratico la certezza della inesistenza dei propri meriti, si continua ad ostentare se stessi come “vittima” di chissà quali trame, tessute da questo o quello, che non hanno reso realizzabili e visibili i propri meriti. Si è comunque soddisfatto il proprio inseparabile desiderio di “ostentare se stessi”; e questo è l’importante. Ma non so fino a che punto, a differenza della situazione di Cassius Clay, possa essere costruttivo d’immagine un simile comportamento.
Entrando nei particolari, se io oggi affermo che farò per Teano cose mai fatte negli ultimi trent’anni, e domani dico che tra un mese riaprirà l’ospedale, e continuo a farlo con fastidiosa protervia, e nulla di ciò si verifica, ho solo dato sfogo alla mia boria, della quale si accorgono, e si lamentano anche occulti registi e strateghi delle mie vittorie, i quali (pensate un po’) trovano persino il coraggio di venire allo scoperto: se, poi peggiorando le cose, mi trasformo in vittima e dico che queste cose non si son potute fare perché i miei colleghi amministratori sono degli sfaticati incapaci o perché si è messa di traverso la congiuntura planetaria di Marte, Giove e Saturno, e colgo l’occasione per piangermi addosso e per ribadire la mia forza e capacità superiori a quelle di tutti gli altri, allora non c’è alcuna speranza di resipiscenza. Né di reale operosità produttiva.
La lingua italiana deriva dal latino. Mi sia allora consentito, per affinità di contenuto, chiudere con una massima in latino: “intelligenti pauca”.
Claudio Gliottone