L’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato i primi risultati dell’indagine di sieroprevalenza sulla diffusione del coronavirus tra la popolazione italiana. L’indagine, che era stata avviata il 25 maggio scorso da ministero della Salute e ISTAT è stata effettuata attraverso i test sierologici, che servono per rilevare la presenza di particolari sostanze nel siero, una parte del sangue. L’indagine sierologica permette di comprendere le dinamiche della diffusione del virus. Dai test effettuati sul campione indicativo della popolazione italiana è stato stimato che 1 milione e 482mila persone abbiano incontrato il SARS-COV-2, vale a dire il 2,5 per cento del totale della popolazione, un dato 6 volte superiore ai contagi registrati durante la pandemia. I test sierologici servono a indicare se una persona sia venuta o meno in contatto con un agente infettivo, nel caso specifico il coronavirus. Nel caso di risultato negativo, l’individuo non è probabilmente stato esposto al virus, almeno fino al momento del test. Un risultato positivo indica invece che è avvenuta una reazione da parte del sistema immunitario, a causa della presenza del virus. Nel caso di un esito positivo ci si deve sottoporre al test che analizza saliva e muco, prelevati tramite un tampone. Questo tipo di test permette infatti di scoprire se in un esatto momento sia presente il coronavirus. Il campione di cittadini interessato dall’indagine sierologica è stato individuato in base a sesso, età e occupazione: sono state prese in considerazione soltanto persone residenti in Italia che vivono in famiglia in 2mila comuni stratificati per dimensione e collocazione territoriale. Dal 25 maggio al 15 luglio sono stati effettuati 64.600 prelievi. Dai dati raccolti da ISTAT si nota una forte differenziazione territoriale, che è in linea coi contagi e con la mortalità che sono stati registrati nel tempo: la Lombardia è la regione con il tasso di incidenza maggiore e ha un tasso di sieroprevalenza stimato del 7,5 per cento, ma da ciò emerge anche che il tasso di sieroprevalenza, è particolarmente diversificata all’interno dello stesso territorio: per esempio, pur trovandosi nelle aree limitrofe della provincia di Bergamo, la più colpita in Italia con un’incidenza del 24 per cento, le provincie di Como e Lecco hanno un’incidenza tra il 3 e il 5 per cento.La Lombardia in definitiva, assorbe il 51 per cento dei cittadini che hanno sviluppato gli anticorpi. Dall’indagine emerge che sono state più colpite le persone occupate nella sanità, con un’incidenza del 4,1 e il 6,6 per cento, che però raggiunge il 9,8 per cento nelle regioni con maggiore livello di sieroprevalenza. Anche le persone che lavorano nel settore della ristorazione sono risultate particolarmente esposte per il 4,2 per cento. Le differenziazioni emergono quindi dal punto di vista territoriale e dell’attività occupazionale, mentre non emergono differenze di genere. Quanto alla trasmissione, il contagio è avvenuto all’interno della famiglia nel 41,7 per cento dei casi, nell’11,6 per cento tra colleghi di lavoro, tramite il contagio dai pazienti (nel caso dei lavoratori della sanità) per il 12,1 per cento e col contatto con altre persone per il 9,2 per cento. Gli asintomatici sono il 27,3 per cento. Le persone con uno o due sintomi, come febbre, tosse e mal di testa ma esclusi la perdita di olfatto e gusto, sono il 23,4 per cento e le persone con tre o più sintomi, incluso perdita di olfatto e gusto, il 41,5 per cento. I dati al fine di identificare tempestivamente eventuali focolai epidemici per comprendere le criticità, dare la giusta dimensione ai contagi e prendere provvedimenti in tempo utile.
Sara Finocchi