Nel numero di gennaio di questo giornale, raccontammo la straordinaria storia di un padre, Enrico Montaquila, di Teano, padre di nove figli ,che abbraccia il figlio naturale dopo 45 anni, anche lui di nome Enrico. Anticipammo che in quella narrazione mancava una parte importante della storia, la vicenda legata in particolare ad Enrico Shallon, quel giovane concepito per volere di una donna e poi respinto dalla stessa donna che lo aveva generato.
Sì perché, dopo che Enrico Montaquila padre si era ritirato nella sua Teano, nel lontano 1962, in Germania nasceva il piccolo Enrico, concepito ma non voluto dalla madre naturale, per sua volontà o perché costretta dal suo convivente, sta di fatto che Enrico fu abbandonato.
Ma la storia la racconta lui stesso e useremo le sue stesse parole, tradotte dal tedesco da una parente bilingue, per non distorcerne il senso. Questa lunga confessione l’ha resa personalmente Enrico in occasione di un pranzo con tutti i suoi nuovi familiari a Teano, ai quali non ha voluto nascondere niente, anzi ha voluto che sapessero che la sua lontananza l’ha pagata molto cara e per ben due volte.
“A me venne raccontato che io , venni trovato al mattino alle ore 6 di marzo 1962, da spazzini che spazzavano la neve- Così comincia il drammatico racconto di Enrico Jr.- loro avevano sentito un bambino che piangeva e hanno trovato nel grande parco, un neonato, appena coperto con le fasce, sulla banchina del parco. Loro mi portarono nella vicina chiesa, dal parroco, che lui subito si mise in contatto con un orfanatrofio e con i cosiddetti Ingendamt.
Come abbia fatto questo Ingendamt a trovare la mia vera madre, questo non sono mai venuto a sapere.
La mia vita in questo orfanatrofio non è stata molto soleggiata: La direttrice che avevo io non era all’altezza per questa situazione. Lei aveva circa dieci bambini di cui occuparsi e quando per lei i problemi crescevano, allora erano botte che lei dava a tutti. Anche per questo porto i segni, ancora oggi nella testa, perché mi ha sbattuto contro un termosifone.
Oppure dovevamo fare il castigo, seduti in una camera chiusa a chiave e con le finestre sbarrate. Io poi perché ero un bambino vivace, mi chiudevano in un piccolo cassettone al buio, anche per questo ancora oggi mi sento molto a disagio e con paura, se mi trovo in una camera senza luce.
Però il peggio era il capo reparto di questo orfanatrofio. Alla notte quando tutti dormivano, lui prendeva un lungo bastone e batteva da una finestra all’altra, per metterci paura. Le finestre non avevano tende, così al buio si vedeva solo l’ombra e scappavamo nel letto del compagno vicino per nasconderci sotto le coperte finchè tutto era finito. Tutto questo per impaurirci e farsi ubbidire.
Più tardi raccontai alla mia madre adottiva tutto questo e lei non ci credeva finchè ha visto con i propri occhi quello che ci facevano. Anche quando andavamo fuori a giocare una volta questo capo ci buttò una pistola carica, e come eravamo noi bambini giocavamo con questa pistola, finchè partì un colpo e un nostro compagno si ferì alla mano.
Come io mi posso ricordare sono stato messo in altre tre famiglie però sono sempre scappato ma poi la polizia mi trovava. Quando venivano persone in orfanatrofio a cercare bambini, noi dovevamo metterci tutti in fila, a me sembrava di essere al mercato delle mucche, quando si cercano una bestia da comprarsi.
Un giorno venne una signora, e come sempre, eravamo tutti in fila, in modo che potesse scegliere quale bambino che lei voleva. Quando passò vicino a me le dissi:”Zia portami via da qui per favore!”. Però la direttrice le disse che non glielo consigliava perché io ero il peggiore di tutti. Sia ringraziato Dio che lei mi portò via e si decise per me.
Questa signora era sposata e viveva in Svizzera ed io andai in Svizzera che avevo 7 anni e già andavo a scuola. Il mio padre adottivo al principio non era tanto contento, anche perché non avevo il fisico sano, per i tanti farmaci che mi davano all’orfanatrofio, si deformavano le mie spalle e le mie braccia durante la crescita pendevano storte dal mio corpo.
All’orfanatrofio mi riempivano di tablette, perché ero intelligente e vivace più degli altri, mi fecero visitare da un dottore e fecero controllare il mio cervello e questo mi prescrisse tutti questi farmaci perché come ho detto il mio cervello non era normale. Alla mia mamma adottiva dissero che io ero epilettico e che facevo pipì a letto.
Però tutto questo in Svizzera non si verificò mai. Così un giorno mia madre mi portò a Lucerna da uno specialista per bambini e dopo la visita disse:”Se continua ad inghiottire questi farmaci, non arriva a vivere fino ai 12 anni”. Cos’ ho dovuto fare una cura di astinenza dai farmaci per un anno.
Io non ho mai avuto calore, amore e comprensione da nessuno. I miei genitori adottivi erano molto severi, non mi hanno mai preso fra le braccia, loro non sapevano come si faceva con un bambino da lolergli bene ed anche io non sapevo come comportarmi verso i genitori che non avevo mai conosciuto. A me bastava avere una casa con dei genitori e un letto mio.
In Svizzera ho avuto molti compagni di scuola e da loro ho imparato le usanze svizzere. Ho imparato un mestiere, sono idraulico ho lavorato all’estero e mi sono fatto Svizzero ed ho fatto il servizio militare.
Io nella mia vita sono stato un ritardatario, pensavo sempre di non essere come gli altri, volevo anch’io essere normale e più crescevo vedevo che per me le cose non andavano come gli altri, non ero capace di mostrare affetto come facevano gli altri, io no.
I miei genitori adottivi erano severi, ma buoni. Io ero ribelle, non era facile per loro. Di questo li ringrazio di cuore perché mi hanno dato la possibilità di vivere la vita che vivo ora. Io ho viaggiato per lavoro in tutto il mondo, nostalgia della mia casa non l’ho mai avuta, Cos’è questo?
A 35 anni andai alla ricerca delle mie radici, per prima dovevo trovare la donna che mi aveva partorito. La trovai ma non mi volle abbracciare e mi mandò via. Ma potevo anche risparmiarmelo.
E’ stata la più grande delusione della mia vita. Fortunatamente ho conosciuto una donna che poi ho sposato ed è una persona cara, comprensiva, sta sempre al mio fianco. Lei crede in me e mi accetta come sono.
Grazie alla sua ispirazione ha preso l’iniziativa, abbiamo letto e riletto le lettere ed i documenti che la mia mamma adottiva mi consegnò quando ormai avevo 40 anni, prima della sua morte. Grazie a lei ed alla mia cara suocera che oggi sono qui con tutti voi. Vi ringrazio tutti per l’affetto che mi date.
Oggi finalmente ho trovato una famiglia, la mia famiglia, un padre, il mio vero padre”
Finisce qui la lunga confessione del giovane Enrico Shallon.
Ringraziamo lui ed il padre Enrico Montaquila perché hanno voluto rendere pubblica questa storia che serve da monito a quanti pensano che si possa decidere della vita di un essere umano come se fosse una cosa di cui sbarazzarsi. In questa storia il giovane Enrico parla solo in una occasione della madre naturale, è il suo grande rammarico, non è stato accettato da piccolo e non lo accetta da grande, nonostante i ripetuti tentativi.
Cosa si può spingere l’animo di una madre a respingere ostinatamente il tentativo di abbraccio della sua creatura?
Per quanto ci riguarda, continuiamo a credere che c’è sempre nell’intimo di una persona, un punto dove far penetrare i sentimenti e per questo siamo in contatto con una notissima trasmissione televisiva della rete nazionale, per avviare un estremo tentativo di riavvicinamento tra la madre ed il figlio.
Antonio Guttoriello