NO, perbacco, non è il nulla: è molto peggio!
E ve lo dimostrerò: giocando con le parole, come un antico sofista, sfiorando i limiti del baratro dell’irrazionale, ma senza indulgere in esso e sicuramente senza mai precipitarvi dentro. Vi dimostrerò, invece, quante cose il razionale nasconde o seppellisce nell’animo umano, coartandone sovente più di una sua libera emanazione, e lo faremo divertendoci insieme, ma consci di dover affrontare una dura realtà sociale.
Non vi spaventate, per carità: sarà solo una, spero piacevole, boutade, nient’altro che un “divertissement”.
Orbene la organizzazione sociale definita “comune” è giuridicamente un ENTE.
Ente, deriva dal participio presente , “ens”, del verbo latino “esse” che significa, inutile dirlo, “essere” o, per traslato, “esistere”. Quindi il comune, per sua definizione di Ente, dovrebbe essere qualcosa che è, che esiste; e per essere tale deve anche “manifestarsi”, cioè rendersi palese attraverso le proprietà e le funzioni che gli sono state giuridicamente attribuite per essere tale. Queste ultime cose, e ribadiamolo, costituiscono allora la “essenza dell’Ente”, perché la esistenza non è un atto di fede, ma ha bisogno di manifestarsi, di essere percepita: “esse est percipi” affermava il filosofo George Berkeley, altrimenti “non esiste”.
La “assenza”, invece, indica la “mancanza, la non presenza” di una cosa: di conseguenza la “assenza della essenza” significa che una cosa non “è”. non esiste, non possiede né emana alcuna manifestazione che possa essere “percepita” e quindi testimoniarne la esistenza. In pratica: un “ente” che “non è”!
Ai miei pochi ed acuti lettori, tra i quali mi piacerebbe pensare che ci sia anche il nuovamente attuale Vice-Sindaco Pinelli, che il compianto Antonio amava definire il “naif” di Casafredda, non sarà sfuggito che l’oggetto di questa premessa pseudo (ma molto pseudo) filosofica introduzione sia l’Ente Comunale del nostro paese.
A tutti loro, compreso il citato diretto interessato, non sarà potuto sfuggire che il nostro Ente, nel progressivo trascorrere degli ultimi tre anni, ha con orgoglio raggiunto, se è questo che si voleva, “la assenza della sua essenza”!
Riferendoci proprio ad esso, infatti, andremo a dimostrare l’assunto iniziale che la “assenza dell’essenza” non è il nulla, non è la “non-esistenza” ma è molto peggio: e qui il buon Barkeley si starà rivoltando nella tomba!
Nei confronti di un Ente giuridico i cittadini hanno dei doveri (pagare le tasse, rispettare le ordinanze, accettare dei limiti) e ricevono dei diritti (organizzazione sociale, assistenza, cura dell’ambiente e via dicendo): potremmo definire i primi poco-piacevoli ed i secondi piacevoli quanto necessari.
Va da sé che una assenza eliminerebbe entrambe le cose con un ipotetico compenso tra effetti negativi e positivi; ma quando l’essenza riguarda soprattutto la esigenza degli effetti positivi, per il cui espletamento sono necessari piccoli sacrifici, allora la loro mancanza non è “il nulla”, ma è un danno bello e buono.
Soprattutto quando poi, come nel nostro caso, la scomparsa delle positività non comporta la contemporanea scomparsa delle negatività, che anzi si accrescono.
Un servizio sempre più scadente di raccolta dei rifiuti (assenza del meglio) che sia addirittura compensato con un aumento della partecipazione retributiva (presenza del peggio) è cosa semplicemente diabolica!
A fine primavera i bordi di tutte la strade d’Italia, dalle autostrade (a gestione privata) a quelle nazionali e provinciali, vengono ripuliti; per quelle comunali le disposizioni attengono all’ente il quale sollecita ed impone ai proprietari di adeguarsi, o, in mancanza, procede in danno addebitando le spese.
L’assenza del comune, in questo caso più che in altri, non è il nulla: è un danno!
Signori amministratori, se con la vostra “assenza di essenza” non volete creare vantaggi, risparmiateci almeno di creare altri danni.
Se ciò dovesse accadere, avreste almeno già fatto qualcosa di buono: e lo avreste fatto semplicemente “non facendo”.
Primum non nocère.
Comodo, no?
Claudio Gliottone