Va di moda in politica (che oggi di mode è per gran parte costituita), oltre che l’immortale “antifascismo”, la lotta alle discriminazioni. La cosa non fa una grinza, se solo potesse leggersi in essa non dico tanto, ma sovente almeno una parvenza di “coerenza”. Sì, perché è un dato di fatto che le maggiori discriminazioni, non sapremmo se casuali o furbescamente volute, sono presenti proprio nella “lotta alle discriminazioni”. I migranti, i gay, le donne, i diversi, gli emarginati sono, nella attuale società, l’ oggetto più frequente di emarginazione ; certo notevolmente ridotta rispetto al passato, ma pur sempre inevitabilmente viva. Il fatto è che, mentre si cerca di attuare questo combattimento sia con armi ideologiche, sulle quali siamo tutti d’accordo, che pratiche (ad esempio lo “ius soli”, il quale come detto altre volte trova la mia piena aderenza, o “il reddito di cittadinanza”, un poco meno, la abolizione degli ostacoli per i disabili, “le pietre d’inciampo” e via fantasiosamente discorrendo) non ci si accorge di nuove discriminazioni che nascono giorno per giorno. Quel ch’è peggio è che non nascono dalla malvagità umana verso qualche situazione incresciosa creata dalla natura o dal destino, ma dalla ormai non più sopportabile invadenza dello Stato, attuata con sistematica periodicità per mezzo di un esercizio burocratico che occupa tutti i campi del moderno vivere: e lo fa proprio a giustificazione di questo e con un infinito elenco di “lacci e lacciuoli” che, nei fatti, lo rendono molto complicato. Dando per scontate tutte le innovazioni tecnologiche, sociali e strumentali della “modernità”, che siamo lieti di comprendere e di accettare, ognuno di noi deve possedere: un codice fiscale, una tessera sanitaria, una carta d’identità, una patente di guida, una carta di credito, le quali hanno ognuna un codice ed un numero identificato diverso; per accedere via telematica ai servizi pubblici deve oggi possedere uno “spid” e poi, per ogni singolo servizio al quale desidera accedere, deve possedere un “user name” ed una “password” diversa. Un professionista, poi, deve possedere un “pos” per accettare onorari solo per la tracciabilità di una fattura che normalmente emette. Ora, per “giunta di rotolo”, è arrivato anche il “green pass” (ma perché non chiamarlo “passaporto verde”, tanto gli inglesi hanno abbandonato la UE e certo non se ne dorranno?).Dimenticavo di dire che, per rendere operativa gran parte di questo fardello di “codici identificativi”, bisogna, ovviamente possedere un computer. Questo non è un problema: se non lo si possiede basta andare in un negozio attrezzato, di solito un tabaccaio, e tutto si risolve. Facilmente, credete voi? Noooo, per carità. Avendo il computer fuori uso e dovendo effettuare dei pagamenti, mi sono recato in un sito dei suddetti; dovevo eseguire dei Mav indirizzati ad una compagnia assicuratrice l’uno ed all’INPS l’altro, Sono caduto dalle nuvole quando mi son sentito richiedere, per pagarli, due diversi documenti: la tessere sanitaria per uno e la patente di guida per l’altro!!!!! E dovevo pagare, non riscuotere!!!!! Lascio a voi immaginare la velocità di giramento che assunsero alcune mie cose intime! Orbene, tralasciando di ragionare filosoficamente e di citare di nuovo il termine “lacci e lacciuoli”, coniato da Tommaso Campanella e ripreso da grandi liberisti quali Locke, Einaudi e, da ultimo Guido Carli, che ha così intitolato uno dei suoi ultimi libri, ma semplicemente “ragionando” non credete che tutte queste cose ingenerino un maledettissimo fastidio a tutti i cittadini? Figuratevi poi in quelle tante persone di una età avanzata, non corrotti dal dominante “delirio digitale” e non avvezzi o impossibilitati per tanti motivi ad un continuo progressivo e direi quotidiano aggiornamento! E’ come se fossero tagliati fuori dal mondo, loro che non sono i trentenni “yuppies” di craxiana memoria e che per scelta e stile di vita o per semplice inadeguatezza aborriscono ogni invadenza tecnologica. Non è forse una discriminazione anche questa? Non discuto che l’ umanità progredisca sempre di più, che la modernità sia processo inarrestabile al quale bisogna adeguarsi, ma che lo si faccia con razionalità e con attenzione a chi viaggia con un passo più lento, questo sì: posso pretenderlo! Come posso pretendere di non essere soffocato da una ignobile burocrazia per la quale sono diventato non un numero o un codice, ma mille numeri e codici diversi uno dall’altro a seconda di quello che devo fare. Come posso pretendere di essere e di rimanere un “uomo libero”, non schiavo di uno Stato “grande fratello” che si impiccia di tutte le mie cose, e malamente. Difendiamo almeno quella fetta di libertà che risiede nella nostra coscienza di individui pensatori ed osservatori; almeno per vivere più tranquilli con noi stessi.
Claudio Gliottone