Cortese Redazione buongiorno, Vi ringrazio per l’iscrizione a “Il Messaggio di Teano”.
Sono ospite di diversi siti web amici che mi hanno pubblicato diversi miei articoli, ma per la natura di un articolo fatto da poco ritengo sia cosa buona pubblicarlo sul vs. periodico online. Da qui la ragione di aver chiesto l’iscrizione suddetta. Riporto in anteprima uno stralcio del mio scritto in proposizione per far capire di che si tratta.
L’Italia di uno stivale decisa da quattro zoccoli di cavalli.
Sono particolarmente attento alle cose dell’Italia nostra e se ebbero inizio a Teano in seguito all’incontro che la storia ci tramanda, perché non pensare che la stessa Teano sia un’occulta “madre” che possa aver generato una certa altra Italia che non conosciamo ancora, in cambio di quella che sappiamo, il risultato di un gioco politico di diverse nazioni europee di quel tempo dell’incontro controverso. Chi ne fu l’artefice non restò nemmeno soddisfatto e preferì finire i suoi giorni a Caprera, piuttosto che essere generale di un re “caporale”. Potevano due “caporali” andare d’accordo? E tutto avvenne in quel tempo “a cavallo”: un formale saluto fra due dittatori e una fugace stretta di mano altrettanto formale, a sigillo dell’avvenimento, come a immaginare che la sorte dell’Italia sorgente possa dipendere da un cavallo, un animale e non dall’uomo stesso, tramite le sue gambe e piedi ben saldi sulla terra. E ancora come se la stessa parola “a cavallo” alluda a qualcosa che viene scavalcata, giusto un’ipotetica nascita di un’altra Italia cui ho alluso all’inizio. O forse quei due uomini a cavallo erano degli “zoppi”? Metafora di peccato! Senza dimenticare che fu un astuto cavallo a causare la caduta di Troia in favore dei Greci!…
Ho notato che il vs. giornale pubblica in genere articoli brevi e forse il mio scritto, un po’ lunghetto, trovate difficoltà a pubblicarlo. Ma il tema può risultare appetibile per i lettori di Il Messaggio di Teano.
In più potrei proporvi di pubblicare altri articoli su temi interessanti.
Comunque vedete voi…
Cordialità,
Gaetano Barbella
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Gent.mo Gaetano Barbella,
ci giunge gradita questa Tua e relativa proposta di pubblicazione di futuri Tuoi interventi, cosa questa di quanto più utile per innescare ulteriormente un dibattito, uno stimolo a questo stato comatoso delle cose. È ancor più gradita, poiché, almeno per chi scrive, il Direttore, è ghiotta occasione per “aggiustare” per quanto sia possibile, alcuni punti di vista. “La stessa Teano sia un’occulta “madre” che possa aver generato una certa altra Italia che non conosciamo ancora….”, così ti esprimi e ne hai ben donde. Ci par di comprendere ed afferrare una certa vena “nostalgica” di ciò che fu ed era (l’Italia o il Meridione?) prima di quella “decisa da quattro zoccoli di cavalli”. Orbene, per quanto ci riguarda e con umile parere, abbiamo ben poco da inorgoglirci se solo ricordiamo che il Ns. Meridione fu tanto grande solo ed esclusivamente ad un Regno non autoctono, bensì di origini ispaniche come i suoi regnanti. Un Meridione, peraltro, aduso a piegarsi ed inorgoglirsi per “cose” non squisitamente e largamente meno valevoli di ciò che abbiamo, possiamo e meritiamo. Un Meridione sempre pronto a rifugiarsi in un “giustificazionismo” ad ogni costo. Ovvero, caro Gaetano, a distanza di ben 180 anni, vuoi che, almeno il sottoscritto, addossi la colpa a quei “quattro zoccoli di cavalli “ se la mia Teano è ridotta in cotal guisa? E non solo Teano. Non sarà il caso di dare a Cesare quel che è di Cesare? Quei cavalli, non esistono da un pezzo, ma gli Amministratori degeneri, sono ben vivi e presenti. Ecco lo spunto per un ns. futuro dibattito. Benvenuto.
Il Direttore
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Un’Italia che piace in una lettera d’amore del 1909: un ‘Italia della famiglia, della patria e della scienza.
A cura di Gaetano Barbella
“Fin dal mio sorgere ti vidi ed a te vengo… Mi chiamo Italia e sola, vengo a cercare in te quel che sia capace di sicuro appoggio, amore e difesa; tu quale cavaliere, lo sai, lo senti, lo puoi fare. Nasco proprio oggi, e nel germoglio della mia nuova vita affido a te il mio essere che fin’oggi ha posseduto un animo sempre deluso e deriso. “
L’Italia di uno stivale decisa da quattro zoccoli di cavalli
Sono particolarmente attento alle cose dell’Italia nostra e se ebbero inizio a Teano in seguito all’incontro che la storia ci tramanda, perchè non pensare che la stessa Teano sia un’occulta “madre” che possa aver generato una certa altra Italia che non conosciamo ancora, in cambio di quella che sappiamo, il risultato di un gioco politico di diverse nazione europee di quel tempo dell’incontro controverso. Chi ne fu l’artefice non restò nemmeno soddisfatto e preferì finire i suoi giorni a Caprera, piuttosto che essere generale di un re “caporale”. Potevano due “caporali” andare d’accordo? E tutto avvenne in quel tempo “a cavallo”: un formale saluto fra due dittatori e una fugace stretta di mano altrettanto formale, a sigillo dell’avvenimento, come a immaginare che la sorte dell’Italia sorgente possa dipendere da un cavallo, un animale e non dall’uomo stesso tramite le sue gambe e piedi ben saldi sulla terra. E ancora come se la stessa parola “a cavallo” alluda a qualcosa che viene scavalcata, giusto un’ipotetica nascita di un’altra Italia cui ho alluso all’inizio. O forse quei due uomini a cavallo erano dei “zoppi”: metafora di peccato? Senza dimenticare che fu un astuto cavallo a causare la caduta di Troia in favore dei Greci!
“La tradizione ebraica ci consegna la parola “peccato” come violazione dell’ordine voluto da Dio, che Coelho ne “Il cammino di Santiago” così ci restituisce: La parola “peccato” viene da “pecus” che significa “piede difettoso”, piede incapace di percorrere un cammino. Il modo per correggere il peccato è quello di camminare sempre diritto, adattandosi alle situazioni nuove e ricevendo in cambio le migliaia di benedizioni che la vita concede con generosità a coloro che chiedono. Diversamente, nella Sloka 1 della Stanza V di “Theogenesis” è scritto come l’energia universale Fohat, ponte del percorso tra spirito e materia, diriga l’evoluzione dell’uomo e del cosmo tramite i propri passi, uno alla volta, così che il progresso proceda in infinitesimali periodi di tempo, il cui intervallo è rappresentato dal piede sollevato tra un passo stesso e l’altro: Diventerete così audaci da ostacolare la mia volontà? – gridò Fohat nella sua ira (…) – badate che non abbassi il mio piede così pesantemente da demolire il ponte tra gli dèi e gli uomini; allora non potrete più soccorrere gli uomini, né far risuonare accordi pienamente armonici…”
Attenti al “segno”, ci volle far capire Gesù con il famoso “segno Giona” evangelico, poiché gli si chiedeva un segno prodigioso da lui per credere alla sua parola. Ma l’uomo oggi ancora non ha capito l’ammonimento. Al di là della necessità di essere ingoiati dalla “balena” delle necessità vitali, a volte a costo dell’esistenza, l’uomo non presta attenzione a piccole cose simili a “segni” appunto, sul come avvengono i fatti della vita. Essi ci sfuggono in realtà, per la loro vaghezza, una casualità senza basi razionali, né religiose e né scientifiche.
Tuttavia , “Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”…
È una semplice locuzione della fisica sulla teoria del caos che racchiude l’idea che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. In poche parole è un concetto denominato “effetto farfalla”. Piccole azioni possono contribuire a generare grandi cambiamenti. Ciò che facciamo oggi influirà sul nostro futuro: con piccole azioni, possiamo cambiare molte cose che non apprezziamo della nostra vita oppure, più semplicemente, invece che colpevolizzarci per errori che tutti commettiamo, possiamo trovarvi una soluzione introducendo piccoli cambiamenti. Ed è appunto un certo “piccolo cambiamento” che ora mi appresto a introdurre nel sito web Il Messaggio, periodico d’informazione di Teano, come una certa “bottiglia del naufrago”, al suo direttore piacendo. Ma intanto a Teano, in seguito all’incontro storico di Garibaldi col Re Vittorio Emanuele II, fu come se divampasse una seconda guerra, dopo quella dei garibaldini contro i borbonici, con lo scontro di due fazioni locali, Teano e Vairano, per attribuirsi il luogo esatto dell’avvenimento, peraltro ben acclarato in una lettera dell’8 marzo 1908 (depositata presso l’Ufficio storico) scrive testualmente:
“La mattina del 26 (ottobre 1860, ndr) ebbe luogo il memorabile incontro tra i due grandi fattori della unità d’Italia, e precisamente a Taverna Catena, ove ricordo benissimo v’era una cava di pietra”.
Ed ecco in un’insospettata lettera un certo “effetto farfalla”, poco meno di un anno dopo la suddetta lettera dell’8 marzo 1908, cioè il 26 febbraio 1909, un giovane fidanzato, Gaetano Barbella, scrive alla sua amata Gina, che sposerà due anni dopo, una lettera d’amore, intravedendo in lei una poetica sorgente Italia. Ed ora è il suo primo nipote, che porta il suo stesso nome, a rendere noto questa lettera e alcune note che vi sono legate.
Amore e patria in una lettera del 1909
Ma cosa si dicevano gli innamorati nel secolo scorso? Solo parole d’amore? Non sempre, per esempio, s’intrecciava nei loro pensieri e parole la Patria, più di quanto si possa immaginare. Poteva capitare che il nome dell’amata si chiamasse Italia e non quella effettiva, come nel caso di una lettera di mio nonno paterno indirizzata alla sua Gina, un paio di anni prima che la sposasse. Credo di onorarli riportandoli al presente col mostrare di seguito il testo della lettera suddetta .
26.2.1909
A te Gina
È solo degli angioli il sognare??? Nello sfondo ardente d’un “incantevole tramonto, discerno ergersi, qual candida nube nell’orizzonte, una forma vaga che ha del soprannaturale, del paradisiaco. Le scultoree forme poste a traverso i raggi del rosso sole morente, spiccano maestosamente e circonfuse d’un’aureola divina sembrava emanare terribili e deliziosissimi fluidi magnetici che costringono tutte le creature poste al raggio d’esse a rimanere fisse, incantate estasiate. Veste un lungo camice bianco con goffe di trina, del medesimo colore, che dal gomito pende maestosamente fin giù le mani inguantate a bianco. Le cinge la vita una ghirlanda di verdi foglie di quercia che artisticamente legate al fianco sinistro sembrano pendere da quel lato in dolce abbandono. Sulle belle, chiome castagne ammantate con finita arte, posa larga corona d’Alloro e sul davanti di essa, quasi ad emblema di insuperabilità, erge sublime fulgida una stella. A tracolla, porta un largo e lungo nastro tricolore che posato sulla spalla destra scende blandamente obliquo fin all’anca sinistra, ove termina formando una grande e magnifica nocca. Il viso, coperto da piccola maschera non può discernersi, ma dalla dimensione di esso e dal fulgido sguardo emesso attraverso i fori della pendente copertura, si intuisce con matematica certezza esser degno del corpo che lo porta. Essa dirige i passi alla mia volta con andatura celere e maestosa. Io assiso in un cantuccio d’una caverna esistente nella scoscesa parete di una rude roccia isolata, sto guardingo a scrutare le minime mosse di quella nuova Silfide vivente, deciso soffocare qualunque sentimento che essa sarebbe stata capace farmi nascere in cuore. Intanto essa avanzava, avanzava sempre. La potenza magnetica del suo sguardo, che in sulle prime avea trovato in me un corpo neutrale cominciò a far presa. Tentai allora evitare quei raggi visivi e mi rannicchiai il più che possibile onde sfuggire a quella potenza ignota ed arcana; ma mio malgrado guardavo fisso anch’io. Un dolce torpore e un tremito indefinibile avea assalito il mio corpo, facendolo sudare a freddo. Volli alzarmi, provare fuggire, ma rimasi lì fermo, spossato, annientato, con lo sguardo stupito, ma fisso su quella sirena che quale irruente onda marina riversava su di me tutto il di lei fluido. E così stetti finch’ella mi fu vicina. Con mosse da Dea mi si fermò a due passi e tendendomi un’incantevole mano, con voce che fece scuotere tutte le fibre del mio essere disse piano piano: «Fin dal mio sorgere ti vidi ed a te vengo… Mi chiamo Italia e sola, vengo a cercare in te quel che sia capace di sicuro appoggio, amore e difesa; tu quale cavaliere, lo sai, lo senti, lo puoi fare. Nasco proprio oggi, e nel germoglio della mia nuova vita affido a te il mio essere che fin’oggi ha posseduto un animo sempre deluso e deriso». Stette per un po’ silenziosa indi toltasi con infinita grazia la mascherina e ritornando a porgermi la manina, aggiunse: «Accetti??». Quale ebete io stavo a guardare, guardare ancora, quando quell’ultima parola e la vista del volto mi colpì al cervello… saltai di scatto, afferrai la mano che mi venia posta e con stretta atroce la portai al cuore, che dalla massima freddezza era passato alla massima caloricità, indi alle labbra e dopo avea deposto il più santo dei baci mi spinsi d’un passo avanti due braccia mi accolsero. Quanto tempo si rimase così? Io piangevo e le lacrime calde che sgorgavano copiose dai miei occhi, da lungo tempo aridi, venivano assorbite dall’Italia che confortavami a carezze. «Accetti??!!…». Sentii ancora ripetermi come un sussurro. Allora senza aprire bocca guardandola a lungo, mi sciolsi dall’abbraccio e presola per mano la condussi fuori dalla caverna. Nel prato verde che come tappeto infinito stendesi innanzi, raccolsi con la mano libera i migliori fiori ivi esistenti, indi sceltone uno rosso lo porsi ad essa, gli altri li disposi a casaccio, con mano tremante attorno alle di lei chiome e veste, ed inginocchiatomi a lei dinnanzi, tenendo sempre la di lei mano stretta nella mia risposi fra l’emozione: «Abbi infinita fiducia, amore e pazienza; oggi ricorre la tua nascita, la tua rinascita alla vita e con essa ricorre anche la mia; vivi sicura, se oggi siamo rinati in due morremo, ed assieme». Nell’orizzonte intanto splendeva la luna, che con i suoi materni raggi illuminando la coppia, rendevala un gruppo divino, quasi a formarne l’apoteosi della giornata trascorsa incantevole a glorificare la natura che sempre tacita godeva. Gli usignuoli melodicamente lanciavano le loro flebili note al cielo in segno di gaudio celeste.
Cenni biografici
Abbazia lì, 4 novembre 1914. Presa di possesso del Comando della Base Navale austro-ungarica. L’alzabandiera della vittoria.
Gaetano Barbella, l’autore di questa lettera e nonno dell’autore di questo scritto, come già detto, sposò due anni dopo la Gina della lettera, Luisa Sapio nata e vissuta a Caserta dove si stabilirono dopo il matrimonio. Nonno Gaetano, chiamato familiarmente Tanino, in seguito ad una polmonite, morì prematuramente lasciando l’infelice sposa con due figli infanti da accudire, Francesco e mio padre Ettore. Nonna Luisa riuscì, con grande coraggio, a superare la sventura della grave perdita subita dimostrandosi piena di vigore ed iniziativa. Si diplomò come ostetrica ed esercitò, così, la professione di levatrice condotta. Si risposò ed ebbe altri due figli, Domenico e Filomena. Nonna Luisa mostrò particolare predilezione per lo scrivente, suo primo nipote, verso il quale non mancava di dimostrargli un amore filiale straordinario. Intravedeva in lui, pupillo dei suoi occhi, una personale cristianità ideale che, forse, neanche lei riusciva a discernere, ma vi prestava fede e speranza. Mi diceva spesso, vantandosene alla presenza di altri, e facendomi intimidire più di quanto non fossi già, che somigliavo tanto per la mia mestizia e tranquillità al Beato Domenico Savio, l’allievo prediletto del Santo Giovanni Bosco. La sorte volle che, in modo a lei congeniale, ella si occupasse degli infanti come levatrice aiutandoli a sorgere dal grembo materno. Ecco che si delinea il parallelo con San Giovanni Bosco attraverso le trame incomprensibili del destino. Nulla che faccia meraviglia, allora, se si determinarono in Luisa Sapio, inconsapevolmente, le stesse sacre cose che premevano al Santo. E dell’Italia tanto onorata idealmente da mio nonno Gaetano, da idealizzarla in colei che amava in modo superno? Egli non ebbe modo, nella sua vita stroncata nel momento più bello che il destino gli offriva, di fare la parte che gli sarebbe spettata e che lui agognava, quella dello sposo amorevole e padre, due cose che gli furono negate dal destino, come anche quella di servire la Patria nella vita sociale. Un servizio che certamente avrebbe svolto con grande prestigio, e che insieme a quello per la famiglia, non può che essere stimato come un’immolazione per l’Italia che lo esigeva da lui imperiosamente, forse in modo speciale. Ma come farò vedere brevemente quanto basta in modo incisivo, toccò al fratello Umberto Barbella occuparsi da milite, nelle vesti di sottufficiale della Regia Marina Militare, a far da simbolica presenza in due momenti eccezionali dell’Italia da ricordare immortalati dalle due foto riportate di lato.
Augusta lì, 13 marzo 1914. Regia Nave Napoli. La firma autografa è di Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica nel 1909
Oggi, ritornando indietro con la memoria, al tempo della presa di possesso della Base del Comando Navale dell’esercito austro-ungarico dislocato ad Abbazia d’Istria, mai si potevano supporre gli estremi sacrifici cui furono soggetti i residenti italiani ivi dislocati. Eppure fu un gran bel giorno quel 4 novembre 1918, quando il R.C.T. Acerbi della Real Marina Italiana sbarcò ad Abbazia ed un plotone si recò marciando alla base dell’ex Comando Austriaco per issarvi il nostro tricolore. Il caso volle, che fra i componenti dell’equipaggio dell’Acerbi vi fosse il sottufficiale Umberto Barbella, fratello del nonno Gaetano. Ma non basta per far evolvere chissà quale disegno progettuale di un’Italia da realizzare poi, perché Umberto Barbella, quattro anni prima si trovò imbarcato sulla Regia Nave Napoli, in concomitanza del perfezionamento degli esperimenti sulle radiocomunicazioni ad opera dello scienziato Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica nel 1909. Era il 13 marzo 1914.
Brescia, 25 giugno 2021
Biografia dell’autore
Diploma tecnico, innata predisposizione per il disegno, capacità e inventiva nel campo della meccanica delle macchine, interessi culturali a tutto campo: su queste premesse Gaetano Barbella coltiva da autodidatta il suo interesse particolare per la matematica, con lo spirito, la genialità e la curiosità di un dilettante di talento. Dedicatosi anche allo studio di esoterismo, di egittologia, di arte, è uno scrittore esperto che nel corso degli anni ha scritto numerosi articoli pubblicati in rete. Nel 2008 la Macro Edizioni pubblica un suo libro in Ebook, dal titolo, “I due Leoni Cibernetici. L’alfa e l’omega di una matematica ignota, pi greco e la sezione aurea”. Nato nel 1938 a Bolzano e vissuto sin da ragazzo a Caserta, dal 1969 ad oggi vive a Brescia con la famiglia.