In questi giorni, il web intero si è indignato contro un immigrato di colore che, probabilmente per fame, ha arrostito un gattino morto per strada.
Io sono indignata e scossa, molto scossa, ma per altro, per qualcosa successo a me, vicino a me.
Tre mesi fa, durante il lockdown, nei pressi dell’azienda dove lavoro, tre cuccioli sono stati abbandonati, gettati via, come se fossero spazzatura. Tre anime innocenti, la cui unica colpa è stata nascere nella famiglia sbagliata, si sono ritrovate sole, in pericolo, in mezzo ai rovi, impauriti, senza cibo.
Li abbiamo presi “in custodia”, in attesa di una famiglia. Abbiamo contattato le volontarie di zona, e una R.R., devo dire la verità, caparbia e testarda, ha provato in tutti i modi a cercar loro una sistemazione. Abbiamo contattato varie strutture, ma tutte li hanno rifiutati poiché, in questo periodo sono piene, piene, piene. Rifiutati.
Dopo tanti tentativi fallimentari mi sono arresa e ho contattato i vigili di Teano, forse in un canile avrebbero avuto più possibilità di essere scelti. Alla domanda “quando verrete a prenderli? Non vorrei vederli andare via”, la serafica risposta è stata “Ae, quanto ci vuole… Noi diamo il via all’iter, poi per i tempi… ci vogliono i tempi”. Ah, già. La burocrazia. Quello che manda la richiesta a quello, che gira la richiesta a quello, che inoltra la richiesta a quell’altro che vede chi deve chiamare. Riassumendo: l’Italia questa è.
Nel pomeriggio, due cani grandi sono entrati e … il tempo di correre, ma uno era già a terra. In una pozza di sangue.
Ho chiamato in Carabinieri. Preferisco non parlarne. Per il lavoro che faccio, frequento spesso le forze dell’ordine e posso dire che, se in questi anni avevo capito perché erano i soggetti preferiti per le barzellette, venerdi ne ho avuto la conferma. Non tutti, chiaro. Generalizzare è sempre sbagliato. Anche sulle donne fanno spesso barzellette, ma io non me la prendo, perché molte sono davvero impedite e perché l’ironia è il sale della vita.
Ho chiamato l’ 800 178 400, il numero da chiamare quando un randagio è in difficoltà. Sono passati 25 minuti tra spiegare cosa era successo 3 volte, dove mi trovavo altrettante, la dottoressa mi ha fatta richiamare da una ditta, che poi voleva sapere:
se il cane era morto, bisognava chiamare tizio
Se era ferito, bisognava chiamare caio…
Nel frattempo il cane è morto. L’ho visto, impotente, morire lentamente accanto a me, agonizzante, mentre cercavo di far capire a qualcuno che era urgente, che avevo bisogno di aiuto, che non doveva andare così. Morto in una pozza di sangue e ritirato, in seguito da una “ditta specializzata nel recupero di carcasse”. Suona così freddo. Senza anima.
Ho pensato alle mie bambine. Perché io sono madre orgogliosa di due bambine pelose. Sì, perché i miei cani sono le mie figlie. Ex randagie, raccolte dalla strada e portate a casa per rendere completa quella che era una già bellissima famiglia. E nel momento in cui ho scelto di prendermene cura, ho accettato di dover rinunciare a tante cose in cambio di altre: amore.
E’ passata quasi una settimana da allora. Sto ancora aspettando che qualcuno venga a prendere i due sopravvissuti. Nel frattempo la volontaria è riuscita a trovare un luogo temporaneo, ma queste persone non lo sanno. Doveva morirne uno in modo tragico che smuovere gli animi.
Ma alla fine, noi esseri umani siamo così. Abbiamo bisogno di vedere sangue e morti. Lo bramiamo. Lo desideriamo. Altrimenti facciamo finta di non sapere.
Sapevamo di Auschwitz ma abbiamo taciuto per convenienza. Tanto il problema non riguardava noi Però oggi, a distanzia di anni, facciamo vedere che ci indigniamo con post sui social contro chi l’ha fatto e chi ha taciuto. E ci piace scrivere “come hanno fatto i grandi a non intervenire?”. Più o meno come facciamo noi oggi per i morti in mare, o i cani nei canili lager o per i poveri che non hanno cibo. Magari tra qualche anno i nostri figli scriveranno lo stesso di noi. Perchè non vedere è più comodo del provare a fare qualcosa. Perché quando provi a fare qualcosa sei solo un singolo, un uno in mezzo ad un mare di NO e di ostacoli.
Non me la prendo con i Carabinieri, non era competenza loro. Non me la prendo assolutamente con il soccorso animali, anzi… In periodi come questi le segnalazioni aumentano a vista d’occhio. Hanno tardato, vero. Ma non è colpa loro.
Me la prendo con chi abbandona. Perché credo in Dio a modo mio, ma credo soprattutto nel Karma e so per esperienza vissuta che tutto quello che fai, che sia buono o che sia malvagio, ti torna con gli interessi.
Un cane non è un peluche. È amore costante, fedeltà senza limiti. È impegno, soldi, tempo, cura, sacrificio, costanza. Un cane è per sempre, non un diamante. Perché coi tempi che corrono il diamante te lo rubano. Ok, ti pavoneggi per strada ma credimi… un cane ti riempie la vita molto di più. E ti rende una persona migliore. È la mia Keira che mi ha salvata da un periodo di depressione, in cui non facevo altro che andare sempre più giù. È KarinaRei che mi ha fatto capire che non sempre va tutto come vuoi che vada ma, se hai una famiglia con cui lottare, puoi superare tutti gli ostacoli. Ed è mio marito il nostro punto fermo, colui che rende tutto possibile.
Non tutti sono degni di un cane.
Maria Flora Grossi