Da questa officina di idee, o perlomeno da questo ambizioso tentativo, abbiamo spesso messo in discussione l’ovvio, perché è l’unica maniera per esser certi di aver visto oltre il velo di maya, l’unico modo con cui il vedente non si accontenta del solo veduto ma va alla ricerca di un non visto che pure avverte, anche se non gli appare. Ci sono i sistemi filosofici ad aiutarci in questo arduo compito; anche i più razionali, che credono di esserlo per scelta personale, sono in realtà figli del metodo cartesiano , con cui il noto filosofo francese cerca di capire il mondo. Cartesio dice di averlo sognato il suo metodo , quasi fosse stata una rivelazione : ogni cosa è da mettere in discussione, c’è una sola certezza solida ,indubitabile che racchiude nella famosa locuzione “ COGITO ERGO SUM “-penso dunque sono -: posso mettere in dubbio tutto ma non me stesso, come un qualcosa che pensa e che dunque esiste come RES COGITANS, come ente consapevole di sè. Cartesio giustifica questa sua certezza in quanto non è il risultato dell’evidenza,.come regola -ma si tratta di qualcosa di più intuitivo, che viene prima delle regole,qualcosa di immediato , di più originario del ragionamento stesso, che lo renderebbe un mero risultato logico. L’uomo pensa necessariamente, questa è la cifra fondante della condizione umana . Ne viene fuori un dualismo di origine platonica,la materia pensante cartesiana incontra nell’ente uomo una seconda sostanza -LA RES EXTENSA-comune a tutti gli esseri viventi, contrariamente alla sostanza pensante che appartiene solo all’uomo. L’Altro però fa ancora problema , se è vero che posso intuire di pensare e quindi di essere, non posso farlo con la stessa certezza rispetto a tutto ciò che non sono io. L’alterità nei sistemi filosofici fa sempre problema ,ogni cosa che non sono io è altro da me, daccapo io stesso sono altro da ciò che vorrei essere. L’alterità è fondamentale, perché siamo tutti meno rispetto a quello che vorremmo essere, c’è dunque dell’altro in noi stessi. Se l’amore è riconoscimento reciproco è anche l’unico SISTEMA che ci permette di essere noi stessi, al di là delle aspettative altrui. La filosofia morale ci fa nominare la vulnerabilità e ci aiuta ad attraversarla: questa è l’etica, è trovare le parole giuste per poterci muovere nella nostra fragilità umana. Le pagine più belle della filosofia morale sono sicuramente quelle di Kant ,il concetto fondante che fa da centro a tutta la sua filosofia è la dignità della vita umana che viene però assolutizzata in questo modo e sganciata dalla stessa fragilità che dovrebbe fare da filo conduttore per ogni cosa che voglia avere valore assiologico, per tutto ciò che ha traccia umanistica. Un’ azione è buona rispetto alla dignità che ci caratterizza? Se catturo un terrorista e lo torturo per sapere di eventuali attentati, per salvare la vita a tanti innocenti che potrebbero essere uccisi, è morale la mia azione? Se io scelgo l’ottica della dignità assoluta , poco importa delle conseguenze, la tortura non sarà mai legittimata ; se il tetto è quello della dignità, il terrorista è sempre un essere umano che va preservato in quanto tale. In nome della dignità umana, non c’è modo di giustificare la prostituzione o il ricorso all’eutanasia, o a quello dell’utero in affitto. Se l’ottica è invece quella dell’autonomia e dunque della libertà cambia tutto. Io posso giustificare chi liberamente decide di prostituirsi, o chi mette un termine alla propria vita fatta di sola sofferenza. Il problema è proprio in questo nodo per niente banale; se io assolutizzo un concetto , scartando tutte le altre possibilità, riesco poi a trovare una soluzione veramente etica che rispetti la legittima libertà di chi ha una postura morale diversa dalla mia? O semplicemente una diversa urgenza, che gli fa mettere la sua stessa dignità a pari merito della sua vulnerabilità ? La dignità va rispettata ma senza mai perdere di vista l’autonomia e la libertà individuale? Così che resti la cifra fondante dell’umano senza mai dimenticare la vulnerabilità, come ciò che ci umanizza . Senza imperativi categorici l’etica si avvicina ai dilemmi morali degli uomini con maggiore umiltà,mostrando che la dignità è un valore intrinseco alla condizione umana, non qualcosa di strumentale, di utilizzabile da chi lo assolutizza solo in favore di una inaccettabile retorica. Se parto dall’alto, cioè dalla dignità ,devo per forza assolutizzarla, correndo il rischio di schiacciare l’altro . L’universale è fatto di casi individuali, di singoli eventi che non possono essere ignorati in nome di un molteplice che non ne riesce ad essere una coerente manifestazione. L’universalità della dignità deve appoggiarsi alla specificità di ognuno di noi, alla nostre fragilità .Hannah Arendt, rifiuta l’etichetta di filosofa perché non può non partire dall’orrore dei totalitarismi che hanno attraversato la sua vita. Se la filosofia non parte dall’evento come da tutto ciò che ci attraversa diventa inutile, non ci fa mettere in discussione. Lei scardina il modo di fare filosofia , partendo dalle macerie del quotidiano e non dai massimi sistemi. La dignità è il concetto chiave ma va pensata insieme alla vulnerabilità, senza volerla negare, non si può fare come se non esistesse. Il pensiero vero scaturisce solo dalle fratture, dalla perfezione non nasce nulla. Quando si è nell’eccellenza non si pensa più, si va verso il delirio di onnipotenza ;,spesso quando c’è riuscita sociale c’è poi un fallimento esistenziale che dovrebbe rimettere in discussione la stessa etica : Creonte ci insegna da più di 2000 anni che assolutizzare la legge fa poi guardare in un’unica direzione, che non è mai sufficiente perché la legge non è la giustizia; va ripensata la stessa tolleranza, perché in nome della dignità si rischia di essere intolleranti. Il razionalismo moderno ha portato ad uno slittamento semantico concettuale, per cui la dignità non può stare nella caduta, nel fallimento, nell’errore, ma solo nel successo, nel numero dei followers , nella gloria. Lo stesso concetto di gloria ha perso il suo baricentro. Dalla gloria postuma.dalla gloria a venire-a quella del qui e ora. Il cambiamento antropologico, figlio delle diverse filosofie che si sono succedute nella storia dell’occidente, ha spostato la nostra ammirazione per l’eroe a quella per il protagonista. Sapevamo bene chi fosse l’eroe, c’è una storia millenaria a difesa di questa figura umana ……ma non troppo. Ma siamo sicuri di sapere bene chi sia il protagonista? E’ chi recita il ruolo principale? Ma in cosa? Nella vita? Ma allora si recita o si vive? Si appare o si è? La prima relazione è tra l’essere e l’apparire: essere protagonisti per raggiungere che cosa ? L’essere o l’avere? Si è qualcosa o si ha qualcosa con la gloria? Oggi essere protagonisti significa fondamentalmente due cose, molto distanti tra di loro: visibilità o notorietà e riconoscimento. Notorietà è la smania di essere in scena, in primo piano, è voler primeggiare. Il riconoscimento è essere riconosciuti per quello che si è, il paradosso è che più si è riconosciuti meno ci si riconosce. Siamo nel tempo dell’effimero, del tutto e subito, dell’autostima, che non è come si potrebbe pensare, fiducia in se stessi. Il protagonista è l’eroe in una storia di cartapesta, che dice IO ma non sa qual è la voce narrante di questo io. Come siamo arrivati a tutto questo? Come siamo passati dalla gloria eterna a quella effimera ? Dalla gloria postuma a quella immediata? L’eroe era chi aveva coraggio, era la virtù del giusto mezzo, tra la viltà e la temerarietà. Anche l’eroe aveva paura , ma aveva anche la volontà di andare oltre la paura, anche a costo della vita. Ettore nell’Iliade quando va a battersi con Achille sa cosa gli aspetta, ma l’eroe è proprio chi ha il coraggio in nome della gloria, che è di tutta la famiglia ma anche di tutta la comunità, non è solo qualcosa di personale. L’onore è il concetto radicale dell’uomo raccontato da Omero. Per Ettore l’onore vale più della sua stessa vita, ci si sacrifica perché il valore massimo non sta nel restare vivi ma nell’essere uomini dignitosi. E’ l’essere uomini che obbliga all’onore, la gloria è solo la giusta ricompensa, non può essere che postuma. Il legame tra l’impegno della parola e la gloria eterna è intrinseco. Oggi l’Altro non è neanche più contemplato, l’alterità non c’è più nella gloria, l’egoismo è assoluto ed è a discapito di tutti gli altri. Deleuze scriveva di una società moralmente perversa per l’assenza di alterità. Si agisce come se l’altro non esistesse, questo è il dramma moderno. C’è il mito del Winner, colui che da vincente può fare a meno degli altri.Il nuovo eroe non si sacrifica più per il bene degli altri ma sacrifica gli altri per un successo ad personam. E’ un vero e proprio eroe rispetto ai paradigmi del nuovo mondo, anche se la figura è completamente capovolta. Oggi il coraggio di chi è? Ci vuole coraggio o fegato per organizzare i piani di licenziamento? Ci vuole coraggio per creare esuberi o esodati ; ci vuole coraggio per negare di fatto un futuro ai giovani ? Ci chiamano risorse umane ma l’umanità per definizione è proprio ciò che non si può utilizzare. Se il protagonismo si riduce a notorietà non raggiungeremo mai il riconoscimento che ci serve per poter dire IO. Non è un caso che più aumenta la notorietà più aumenta il non senso, in uno scenario di questo tipo. Io dovrò conformarmi sempre di più, come richiesto dai miei followers. E’ un protagonismo che si avvolge su se stesso, io mi appiattisco sulle aspettative altrui, non so più quello che voglio veramente. Se io mi tradisco non ho più nulla su cui appoggiarmi per sentirmi me stesso. Se per vivere ho bisogno del giudizio altrui sono così fratturato da non sentire più il mio. Si è fintamente protagonisti della propria vita perché non c’è vero riconoscimento. Se io non sono riconosciuto per quello che sono, come faccio a sapere che valgo al di là dello sguardo altrui. Ognuno di noi dovrebbe aprire un suo mondo, e difendere quell’unicità come valore imprescindibile. Se non siamo confrontati con un sistema anche giuridico che ci protegge nella nostra diversità, facendone un punto di forza, e non qualcosa da omologare o peggio da condannare, non potremmo mai essere consapevoli di quello che siamo-SIGNIFICA NON POTER ESSERE FELICI- C’è uno statuto concettuale che ce lo vieta. L’omosessuale potrà essere veramente protagonista della sua vita? Senza riconoscimento non c’è identità. Come fai a realizzarti se non sai neanche chi sei? La retorica dell’uguaglianza ci dice che quella vera non si è mai realizzata. Quel “ SIAMO TUTTI UGUALI DAVANTI ALLA LEGGE “ implica che fuori da quell’aula siamo tutti diversi. E’ necessario essere protagonisti della propria vita, ci fa sentire il nostro vero valore. L’uomo può fare a meno di tante cose, ma non di pensare. Il denominatore del metodo cartesiano è COGITO REGO SUM , l’unica certezza dell’ente uomo. La filosofia ha una ricaduta pratica molto ampia, perché la cura del pensiero orienta i comportamenti personali ma anche collettivi. Sono poche le storie entusiasmanti come quelle della filosofia, in cui gli attori sono tutti veri protagonisti. I filosofi hanno sempre segnato un avanzamento e aperto prospettive inedite, ancora di più hanno guidato interi popoli, perché le idee hanno il potere di dirigere le vicende umane. Le fa nascere Platone come qualcosa di cui noi uomini siamo solo una pallida imitazione. Basti pensare a cosa ha prodotto l’idea di DIO, eppure non lo ha mai visto nessuno. II pensiero pensato non è il pensiero pensante- ce lo insegna l’attualismo di Gentile-per il quale il pensiero è espressione del vero assoluto. Sii atto è il suo imperativo morale. Tutto è interpretazione, tranne il pensare che si pensi. L’essere è immediatezza , se non si pensa non si è. Tutto va discusso, tutto è degno di essere oggetto di analisi filosofica, per poter essere critici, pensanti e non portatori di un pensiero pensato. Il pensiero unico è un pensiero pensato, non pensante. Quando tutti pensano il medesimo, è perché nessuno sta pensando.
ANNA FERRARO
Essere protagonisti della propria vita non è far sempre quello che si vuole ma volere sempre quello che si fa. Cit. LEV TOLSTOJ