Approssimandosi il mese maggio il mio pensiero corre, come ogni anno, a Sarno,e alla alluvione che spazzò via quindici anni fa cose e uomini rendendo tristemente famosa la cittadina.
Per dieci anni a Sarno e a Nocera avevo svolto il mio lavoro di archeologa, rinvenendo migliaia di reperti oggi in gran parte presenti nell’importantissimo Museo di Palazzo Capua (vedi foto) che avevo contribuito a realizzare. Tantissimi i ricordi legati al mio periodo campano e ad una archeologia unica ed emozionante. Ho condiviso il dolore per la tragedia dell’alluvione del 5 maggio 1998 e desidero rendere omaggio alla cittadina di Sarno proponendo la lettura di una pagina del mio libro (Dieci anni a Pompei e nella valle del Sarno, Nocera Superiore, 2006) dedicata a quel tragico avvenimento:
"5 maggio 1998-alluvione di Sarno 5 maggio. Una telefonata! C’era stata una tremenda alluvione a Sarno! Accesi la televisione e le immagini che si presentavano erano agghiaccianti. Al posto delle case fango e distruzione, palazzi svuotati o tranciati via di netto dalla forza dell’acqua, macchine, persone, bambini spazzati via. Era l’apocalisse! Le notizie si susseguivano alle immagini che scorrevano sullo schermo. Ondate altissime di acqua e fango come mani gigantesche di mostri usciti dalla terra dopo un lungo letargo avevano afferrato case e persone. Un’umanità sconvolta si aggirava tra i resti delle abitazioni nella speranza di trovare superstiti o di percepire qualche flebile lamento provenire da quelle macerie.
Cercai gli amici. Mi tranquillizzavo quando avevo notizie di qualcuno di loro, mi angosciavo quando non riuscivo ad averne. Palazzo Capua, nuova sede dell’Ufficio scavi di Sarno,non era stato toccato! L’amico Peppino Albarella dovette lasciare la casa invasa dalle acque limacciose. L’ospedale era distrutto. E poi i morti, tanti morti! Il fango non aveva risparmiato neppure il cimitero ed aveva raggiunto l’area del teatro ellenistico di Foce. Del preside Gaetano Milone non si avevano notizie. Forse nella confusione generale aveva trovato riparo altrove. Poi,invece,la conferma della sua morte. Se fosse rimasto in casa si sarebbe salvato:l’ondata nera aveva solo sfiorato la sua abitazione. ma egli era uscito per conoscere la causa di quel rumore terribile che veniva dalla montagna. A fatica si riusciva a recuperare i corpi imprigionati nel fango, reso sempre più solido con il passare delle ore. Le colate di fango, partendo dall’alto dei monti, avevano spazzato via ogni cosa sul loro cammino, distruggendo quelle case colonizzate, con cecità totale, sulle sponde dei canali interrati per incuria dell’uomo. Le case non del tutto distrutte, mostravano l’intimità violata, muri pericolanti e pavimenti su cui ancora poggiavano i segni di una tranquilla quotidianità, ormai spezzata. Il borgo medievale, quello no, non era stato colpito. La collinetta su cui si adagia e che lo isola dai retrostanti rilievi montuosi lo aveva messo al riparo per secoli dai pericoli della montagna e lo aveva salvato anche in questa circostanza. Nel passato i pericoli della montagna si prevenivano e i corsi d’acqua torrentizi si irreggimentavano. Ho voluto rivedere Sarno, mai sentita così vicina.
Una Sarno ferita, lacerata, straziata. Ho voluto osservare quelle strade di fango che la natura violata aveva aperte da sola, distruggendo tutto quello che l’uomo aveva arbitrariamente realizzato in suo dispregio. Ho voluto rivedere le montagne che conoscevo bene perché meta preferita di tante passeggiate. Ho rivisto, come in una macabra sequenza, i corridoi d’aria disegnati in alto dal volo delle poiane, proiezione verso il basso di rivoli di fango; risposta vendicativa di una natura ribelle allo strapotere incosciente dell’uomo.
Marisa De’ Spagnolis