Secondo i dati di una ricerca condotta dall’Osservatorio Nazionale sullo Stalking, un italiano su cinque è vittima di molestie insistenti: un dato allarmante, che rappresenta eloquentemente una mattanza senza soluzione di continuità che colpisce le donne e gli uomini, indipendentemente dall’età, dall’estrazione sociale e dall’appartenenza etnica. Numeri che sono impressionanti oggi, e che non sono certo rassicuranti per le evoluzioni future del fenomeno degli atti persecutori: il dato più preoccupante è il numero oscuro celato dietro ai dati ufficiali. La maggior parte delle vittime, infatti, non denuncia lo stalking, considerando quest’atto come qualcosa di simile al firmare la propria condanna a morte.
Questa convinzione è dovuta ad una generalizzata sfiducia verso le autorità (molti omicidi sono avvenuti dopo diverse denunce) e alla consapevolezza che lo stalker sia spinto a perseguitare da un profondo disagio psicologico, che la coercizione può solo peggiorare, se non affiancata ad un percorso di risocializzazione e sostegno psicologico. La «giustizia fatta in casa» è in aumento: la sfiducia verso la legge spinge la vittima di stalking ad organizzarsi autonomamente per far fronte alle vessazioni fisiche e psicologiche che non sa come gestire. In questo senso, la dichiarazione di Carlo Nanni è tragicamente esemplificativa: «le abbiamo tentate tutte» (ma non siamo stati tutelati da nessuno). A livello nazionale, da una ricerca condotta su un campione di 9600 persone dai 17 agli 80 anni, è emerso che il 70% delle vittime sono donne e il 30% sono uomini. Il persecutore è nel 55% dei casi un partner o ex partner, nel 5% un famigliare, nel 15% un collega o compagno di studi, e nel 25% un vicino di casa. E’ recidivo nel 30% dei casi.
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