Parlare con entusiasmo e ammirazione degli Italici antichi , tracciarne anche per sommi capi i precipui lineamenti storiografici, può indurre a pensare a una posizione antiromana. Non è così , si tratta solo di “riscoprire” genti affini per religione, lingua,interazioni dialettiche socio-politiche, apprezzandone nella giusta misura le rispettabili e impensabili potenzialità creative in un ambito di fresca originalità. Impietosamente spazzate dal diluvio romano che le assorbì volitivamente nel proprio mondo, assimilandone, come accadde per gli Etruschi e altri, elementi della religione, della politica, dell’architettura, dell’arte plastica e figurativa e così via, di esse per un certo tempo si perse quasi memoria, fino a una progressiva, incalzante riesumazione e rivalutazione da parte della sempre più aggiornata e meditata ricerca archeologica, storica , linguistica, topografica, epigrafica, antiquaria.
I Romani stessi erano consapevoli del considerevole debito dovuto a Osci, Umbri , Liguri, Etruschi. Plinio, Orazio, Cicerone, Virgilio, Varrone mostravano grande considerazione e rispetto per le dignitose civiltà preromane che avevano conquistato considerevoli livelli di civiltà , spesso sviluppando le loro culture, tipo i Sidicini stessi, in forma straordinariamente autonoma e originale, pur in un contesto comune agli altri popoli della Penisola, con un’apertura e una disponibilità di non comune rilievo. Nella regione degli appassionanti Etruschi, nel Latium propriamente detto, nella terra opulenta degli Apuli , la formazione etnogenetica si considera più marcatamente definita. In Campania invece si svolge e fermenta in un’ articolata e complessa interazione dialettica di fattori socioeconomici, commerciali, bellici, culturali di complicata interpretazione e ricostruzione, data la frammentarietà e la difficoltà interpretativa delle fonti letterarie, epigrafiche, archeologiche (quasi sempre negli ultimi tempi fortuite e occasionali, vedi linea ad alta velocità che in un certo senso è stata una manna per le scoperte più recenti). I Greci delle colonie greche,l a marcata dominazione etrusca, vedi Capua e la cosiddetta federazione delle dodici città campane costituiscono un elemento di novità culturale, commerciale , politica, religiosa per le genti soprattutto dell’alta Campania. Assistiamo quindi a un turbinio di migrazioni, di stratificazioni e sovrapposizioni etniche di cui spesso si smarrisce il filo conduttore e ci si trova in una situazione labirintica che viene poi a determinare le diverse diatribe interpretative degli addetti ai lavori. Naturalmente tale processo per così dire di interscambio favorisce la formazione di culture non prive di una certa gelosa autarchica autonomia , pur giovandosi di esperienze più mature e scaltrite da un’esperienza più vasta, variegata e globale.
I Sidicini che ci riguardano più da vicino si irradiarono in un territorio fertile e adatto alla coltivazione della terra, all’allevamento e di seguito all’artigianato sempre più elaborato e raffinato e si sovrappongono fondendosi con le prime genti del luogo Ausones o chissà chi. Territorio già frequentato in età preistorica da cospicui nuclei di cacciatori-raccoglitori . Da qui l’esigenza e la necessità di passare da una struttura di villaggi di connotazione cantonale più o meno estesi o con un tasso abitativo esiguo o di rilievo alla formazione di una città stato, fulcro e faro dei vari nuclei tribali, spesso in fiero antagonismo tra loro. La città centro politico, religioso, artigianale, industriale doveva essere necessariamente difesa strategicamente ed ecco il costituirsi di una casta guerriera, di una consorteria politica che ne costituisse la mente dirigente e il braccio armato a difesa degli eventuali aggressori, attratti dalla prosperità economica e dal fulgore dello sviluppo culturale in senso stretto. E così per un processo aggregativo articolato, chiamato sinecismo, nasce l’impellenza del divenire città fortificata da un ampio e poderoso circuito murario, efficiente manufatto di architettura difensiva collettiva.
Gli Ausones – Aurunci , il popolo delle sorgenti, era dislocato in nuclei abitativi rurali sparsi, in villaggi a connotazione tribale, in aree sacre, fulcro religioso, politico, economico, commerciale di genti in massimo grado sullo impegnate allo sfruttamento di terreni comuni per coltivazioni estensive e all’allevamento di animali di utilità. Gli storiografi romani chiamarono Ausones le genti indeuropee di stirpe non greca, diffuse nella zona geografica che dal basso Lazio si propagarono fino al Bruzio (Calabria). La prepotente talassocrazia dei Greci e la sempre più insidiosa invadenza commerciale e di conquista degli Etruschi si faceva sempre di più aggressiva e minacciosa della gelosa autarchia degli Ausones e degli altri antichi Italici. Festo afferma che si chiamassero Auseli con riferimento al tema mediterraneo Ausa “fonte” . Gli Ausones usavano per esprimere il sacrificio la parola ligure-tirrenica esunu (vedi le Tabula Iguvine) connessa alla radice ves, alias fuoco sacro punto focale dei riti indirizzati alla dea Ausone Vesuna, in seguito la romana Vesta, tutelare del sacro fuoco. Non a caso il culto era praticato nelle zone vulcaniche del Vesuvius, del Veseris,nelle campagne di Vescia. L’animale totemico prepoliade degli Ausones fu il bue trasposizione simbolica del sole. Guardiano come lo furono gli Italici Ausones e Sidicini delle Porte del sole, della pianura fertile e rigogliosa dalla terra ricca disegnata da fiumi e torrenti dall’acqua pura e cristallina. Il culto del Sole era vitale per gli Ausones popoli dell’Aurora e del Sole . Nella terra degli Ausones una tradizione ancestrale, condivisa e rilanciata da Omero individua la luminosa dimora di Circe, immaginata e filtrata da ricordi perduti nella notte dei tempi come l’avvenente figlia del Sole che abita la fortunata Isola di Eea [A(u)aia] in cui riposano le danze dell’Aurora. Circe l’incantatrice , la maga, la magnetica seduttrice, dal nome di derivazione semitico-pelasgica Kir-Kir. La venerazione per il Sole, la Luna, l’Aurora e la Terra, la grande madre, Ma-Tar, e relativi fenomeni si estese fino ai Romani stessi. Nelle civiltà solari posto di assoluto rilievo occupano le Dee-Madri, dispensatrici di vita e fertilità. La dea-madre dei Russi settentrionali è Mat- Syra-Zmlya, nell’Egeo, nella Creta preistorica e in Mesopotamia Ma o Mata equivale a “ Donna di ogni forma di vita e di fertilità”. In Egitto Marca o Marica significa vergine-madre e si potrebbe continuare ancora, ma si uscirebbe fuori dall’argomento del capitolo. In effetti l’uomo continua a rimpiangere una mitica età dell’oro. I nomi di Formiae, Pirae, Marica, Clanis, Ausona – Aurunca, Falernus ager, Volturnum, Teanum, Cales riflettono nei loro stessi criptici significati di non semplice decifrazione etimologica una storia mitica di fatti rilevanti che la stessa storiografia greco-romana cristallizzò, non senza solennità, negli scritti dei suoi storiografi e annalisti. Miti ancestrali danno perfino un nome all’eroe eponimo degli Ausones, re o capo carismatico che sia: Ausone improbabile prole dell’irrefrenabile Odisseo e di Circe l’incantatrice. Qualche altra impalpabile leggenda lo vuole generato dal disponibilissimo re di Itaca , con buona pace della paziente Penelope, e Calipso appassionata divinità criptica , da cui il nome , intessuta d’ombre e incanto, divorata da incontenibile passione per l’irrequieto figlio di Laerte. Anche l’antica Cales ha il suo eroe eponimo in Calais figlio di Borea impetuoso vento del Nord e della delicata ninfa Orizia.Tracce toponomastiche di questo popolo delle sorgenti permangono nei monti Aurunci e Ausoni, in Ausonia che fino a qualche tempo fa si chiamava Fratte, borgo collinare tra il mare e Cassino, che non va assolutamente identificata con Ausona-Aurunca, il centro più cospicuo di queste antiche genti italiche. Né tanto meno con Coreno Ausonio che, aggiungendo un secondo nome di luogo, volle nobilitarsi con un decreto del 1862. Qui si apre l’occasione per le solite interminabili e a volte inconcludenti accademiche zuffe tra eruditi, esperti e cultori della materia. Durante la guerra latina (340-338 a.C.), Volsci, Sidicini e Aurunci, con Latini e Campani si rivoltarono fieramente a Roma. Gli Italici infelicemente ci rimisero le penne . Nei Fasti Trionfali si rammenta il trionfo dei consoli Manlio Torquato e Decio Mure per il 340 a.C., anno in cui il territorio a nord del Volturno si configurò in Ager Falernus. Malgrado la raggiunta alleanza con i Romani, nel 337 a.C. i Sidicini si scatenarono contro gli Aurunci costringendoli a fuggire da un loro oppidum. Aurunca ,la capitale, fu incendiata e rasa al suolo. I superstiti si rifugiarono nel centro fortificato di Suessa, loro confederata . I villaggi, le abitazioni rurali e i centri fortificati aurunci avrebbero avuto un solo focus religioso comune identificabile nel complesso cultuale consacrato alla dea Marica. Sulla sponda destra del Garigliano a pochissima distanza del mare ebbe un certo rilievo come luogo di culto fin dall’ VIII secolo a . C. “ Consisteva in un bosco sacro (lucus) dove una pia tradizione individuava la sepoltura della divinità , per molto tempo aniconica, ossia non raffigurata, in conoscibile, senza volto come le arcaiche divinità primigenie dei Latini e dei Romani. …il nome Marica , ci informa G. Tommasino nel suo splendido Aurunci Patres a pagina 267-68, parrebbe di origine indo-europea, ma non è escluso che esso possa nascondere un radicale indigeno tirreno con suffisso sabellico, o addirittura osco.” Per concludere, dopo una non breve serie di dotte e intelligenti intuizioni comparative , da cui si può anche dissentire, lo Studioso aurunco sintetizza l’identikit ideale della "sfuggente" Marica, dea di tempi lontani e affascinati, in una divinità preistorica autoctona, signora della vita e della morte, essenza di luce e splendore, propizia alla prosperità dei campi e alla felice e feconda esplosione dell’eterna bellezza della natura.
Giulio De Monaco,