La inaspettata e sorprendente partecipazione dei miei sparuti lettori, che, credetemi, desidererei abbracciare tutti “uno per uno” per tanti motivi che vi spiegherò nell’ultima puntata, mi sta facendo dilatare a vista d’occhio questo fantasioso viaggio nella nostra memoria, tante sono le riflessioni alle quali ognuno di loro mi induce. Le indicazioni, che, grato, ne ricevo vanno ben oltre la segnalazione di tante giustificabili dimenticanze alle quali assieme rimedieremo, ma rivelano uno spirito di appartenenza e di sopito orgoglio che credevamo ormai spento. E che invece ci piace scoprire ancora vivo e vitale: una speranza per il futuro!
Ed il dilatare questo discorso è cosa che faccio con vero piacere cogliendo l’invito personale e piacevolissimo dell’amico Antonio Umbaldo, il quale non me ne vorrà se mi permetto di riportarlo integralmente per la sua perfetta aderenza allo spirito di questi ricordi: “Mi aspetto ancora di più da questi fantastici giri evocativi, felliniani, che ci ricordano il nostro essere comunità di numeri primi e non relativi. Grazie”. Grazie a te, Antonio.
Il “giro per il corso” rappresentava allora ben oltre che la piacevole distensione pre-cena finalizzata al giusto rilassarsi dopo una giornata di lavoro o di studio. Era un momento atteso e desiderato anche dai più giovani come una vera e propria “botta di vita” del moderno lessico sociale; e lo era soprattutto perché intriso di voglia di incontrare e di stare con gli altri, che si conoscessero o meno, che fossero amici od illustri ignoti, anche solo incrociandoli più volte nell’andare avanti e indietro lungo quei duecento metri; era la voglia di riprendere e portare avanti discorsi interrotti la sera prima, belli o brutti che fossero; era il nascosto desiderio di rivedere la ragazzina che ti piaceva, scambiando con lei furtivi intensi sguardi negli occhi ad ogni incrocio e sperando che chissà, prima o poi, sarebbe capitata la occasione di conoscerla; era la “tavola rotonda” attorno alla quale si accendevano discussioni politiche, si elaboravano progetti, si criticava e si incoraggiava, ma comunque si costruiva: “insieme”.
Ed in queste discussioni si finiva prima o poi coinvolti perché nella ripetitività dell’andare avanti e indietro poteva capitare che ti fermasse un amico che parlava con altri amici suoi che diventavano immediatamente anche amici tuoi: e lo diventavano per naturale predisposizione alla socialità, non per bere assieme una birra e poi un’altra o per girarsi uno spinello in una inconcludente ammucchiata di corpi, ma raramente di menti, il più delle volte tese solo a smanettare senza costrutto un anonimo telefonino.
Il “giro per il corso” era il desiderato momento di stare insieme: ma se proprio volevi un momento di più accorata introspezione e di più ristretta socialità c’era pur sempre il “giro per sotto i platani” che, più lungo e meno frequentato, ti concedeva pur sempre condivisi ma più intimi momenti di riflessione: una piccola pausa prima di reimmergersi nel caotico corso.
Eravamo “comunità di numeri primi e non relativi” anche nei personaggi, mi si perdoni l’eufemismo, “eccentrici” che stazionavano quasi perennemente lungo il corso. Ricordo qualche simpatico episodio: come quello del dolce Vescovo Sperandeo, che la sera, da solo o accompagnato da qualche seminarista, lasciando la Casa Vescovile, si recava a recitare l’Angelus nella chiesa di San Francesco. Era costantemente tampinato dall’indimenticabile “Mimì acqua” al fine di ottenere qualche moneta che certo non sarebbe stata spesa per l’acquisto di “acqua minerale”: e quando il povero Vescovo infilava le mani nelle varie tasche del suo soprabito alla loro ricerca e si attardava perché poteva non averne disponibili, il buon Mimì lo incitava pressantemente ripetendogli: “fruga, fruga, compagno Vescovo!”.
Oppure il buon “Supiniello” che, chiamato a svolgere qualche occasionale lavoro, girava correndo tra la gente spingendo una carriola da muratore e gridando “pipiiiii, pipiiii ….” per farsi spazio.
Oppure l’episodio di “Antimiello Napoli” detto “otta a pasta” che si improvvisò parcheggiatore abusivo in piazza Duomo e quando degli Agenti della Finanza lo fermarono, minacciandolo, forse più per celia, di ingiungergli una multa di non so quanti milioni di lire non si lasciò intimidire, ma serafico e tranquillo rispose: “scusate, i’ vulite tutt’assieme o nu’ poco ‘a vota?”. Aveva con splendore e dignità fatto ricorso alla “potenza di chi non tiene niente”! Bravo.
Il giovedì pomeriggio, poi, il corso e il Viale dei Platani erano percorsi dalla nutrita schiera dei Seminaristi che studiavano nell’allora Seminario Vescovile: una folta squadra di ragazzotti in tonaca nera con bottoni rossi civile e composta; uno spettacolo, a vedersi, che richiamava alla mente un quadro di Antonio Laquiniti, “Vescovo con i seminaristi a S: Irene”. Un altro segno di vitalità cittadina!
Il sabato tutto il corso era strapieno delle bancarelle del florido mercato settimanale e gremito da compratori che giungevano da tutti i paesi intorno: una ulteriore occasione di più ampia socialità. La stessa cosa si ripeteva nei canonici tre giorni di festeggiamenti per la ricorrenza del Santo Patrono e che terminavano alla sera del 6 agosto con accorsato “concertino” di musica leggera, preceduto, il giorno prima, da un più serio concerto di musica classica, ad ascoltare la quale poche persone d’élite musicale con la presenza fissa di “Mazza e mazza” eccellente clarinista della locale banda, di Salvatore Stabile e il figlio Antonio, e Peppino Maione, grande batterista locale,amanti del genere.
Lo spazio e lo stile editoriale non mi concedono di più: una pagina e mezza dattiloscritta. Meglio così, altrimenti gli argomenti mi prenderebbero la mano e rischierei di essere noioso.
Mi fermo qui, per questa settimana. Alla prossima; e continuate a mandare i vostri apprezzati commenti. Grazie.
Claudio Gliottone