Ho atteso un po’ di tempo prima di intervenire con un nuovo scritto in qualità di Direttore de “Il Messaggio”. L’esperienza sul campo mi ha insegnato, prima di ogni altra cosa, ad analizzare il contesto in cui si va ad operare, poi con umiltà, e ripeto umiltà, cominciare a navigare sperando di portare saldamente la barca in porto. Nel frattempo, ho letto e riletto tutti gli interventi che si sono susseguiti su queste pagine. Ho letto con piacere i saluti dell’amico Claudio Gliottone: “Gentilissimo Direttore, prima di ogni cosa, ritengo doveroso augurarLe un “in bocca al lupo” per questa nuova avventura. Sono sicuro che saprà portare il giusto equilibrio a quanti collaborano con Lei e con l’intera redazione”. Con altrettanto piacere ho accolto, semmai ce ne fosse bisogno, l’umile, e dico umile invito (indice di intelligenza e nobiltà d’animo) di Maria Flora Grossi: “Do il mio benvenuto al nuovo direttore che… accidenti, ha un curriculum che intimorisce! Sia paziente con noi, non siamo professionisti, siamo ragazzi che cercano di conciliare la passione per la scrittura con l’idea di fare qualcosa di bello ed utile per la Comunità. Troppe volte ci siamo trovati di fronte a cambi direzionali improvvisi e forse non sappiamo nemmeno noi come fare. Scriviamo per il giornale del paese noi, non siamo giornalisti, perché essere giornalista… è tutta un’altra cosa. Ce ne sono pochi in giro, troppi si credono ma pochi ce ne sono. Ci dia una mano a trovare una nostra dimensione”. Esempi, questi, di una predisposizione e di una conferma dell’attaccamento viscerale al proprio Paese, con la P maiuscola, cara Maria Flora. Paese che non è, bensì Città (Urbs). E proprio perché tale, merita ben altra considerazione. Ci aspettavamo anche altri saluti, auguri di buon lavoro. Evidentemente il senso dell’Etica, o “buona creanza” (civiltà, cortesia, costumatezza, educazione,…) non è usanza da parte di qualcuno che rappresenta le massime Istituzioni locali. Non certo per il Direttore (non ne ha certamente bisogno….), bensì per quello che ha rappresentato e rappresenta il Giornale e quanti vi scrivono animati da sentimenti di appartenenza, di identità. Il Direttore, già in passato, ad opera di qualche Amministratore di “p”aesi limitrofi sentì definire i suoi concittadini “nobili decaduti”. Gli “a”mministratori di Teano dell’epoca appartenevano allo stesso ceppo “nobiliare” degli attuali. Al punto tale che lo stesso Direttore che scrive, definì quel periodo “nuovo feudalesimo sidicino”. Arroccato nei propri miseri possedimenti di potere, impegnato nella scalata di una propria identità altrimenti anonima, vacua, improduttiva. L’analisi del contesto e dei fatti di cui dicevamo prima, ne è conferma. Escluso qualche lungimirante Amministratore (peraltro non di origini locali), certo Prof. Luigi Maglione ed il suo Museo Archeologico, di grazia, cosa possiamo mettere sul tavolo delle progettualità, delle opere realizzate? Nulla ed il resto di nulla. Se non un the day after di totale desolazione caratterizzato e ben esplicitato dall’amico Claudio Gliottone nel suo intervento “Vendiamocelo questo paese, vendiamocelo”. Una triste elencazione che, peraltro, caro Claudio non ci permetterebbe nemmeno una congrua valutazione economica. Forse Euro 1,00 (uno) come si fa per la cessione di beni immobili tra Enti pubblici. E da questa situazione, conseguenza inevitabile, il decadimento inarrestabile (spes ultima mortis) del valore delle attività commerciali, delle attività artigianali, di quello immobiliare, del lavoro, della qualità della vita insomma. Quanto può valere sul mercato un “p”aese ingessato, imbragato e deprivato (vedi Campanile dell’Annunziata, vedi Rampe dell’Ospedale, vedi Ospedale menomato, vedi Uffici Giudice di Pace, etc.). Ho frequentato a lungo il basolato di Corso Vittorio Emanuele, ho battagliato spesso nelle schermaglie politiche locali, ho dedicato una intera raccolta di miei scritti su Teano “Teano tra le righe” (rileggendoli noto che il tempo si è fermato ad allora) per non conoscerne abbastanza la caratterizzazione sociale, culturale e politica. Una arrendevolezza ed una mancanza di visione globale che ci ha portati a quel the day after che non ha pari. Tra i motivi? Sicuramente anche quella mancanza di “buona creanza”, indice di “umiltà” di chi dovrebbe essere proteso a migliorare se stesso ed il proprio senso di appartenza. Semprechè abbia “l’umiltà” e la capacità di avvedersene e di ravvedersi. Dictum sapienti sat est.