Niente più della poesia, ed anche quella dei cantautori può definirsi tale a pieno titolo, ha la proprietà quasi magica di elaborare e racchiudere una infinità di contenuti in pochissime parole.
Si è parlato e si è scritto tanto della guerra, ma nella splendida ballata di Fabrizio De Andre’ “La guerra di Piero” sembra essere contenuto il dramma di tutte le guerre del mondo. Qui il poeta cantautore racconta la triste storia di un soldato caduto per un attimo di esitazione nell’incontro con un altro soldato “che aveva lo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore”.
Questa immagine, che prescinde dal merito di qualsiasi conflitto bellico, lancia un intenso messaggio di pace ed, al tempo stesso, rende ogni guerra uguale all’altra nella sfera del valore universale di chi la combatte: la divisa, qualunque essa sia, che vuol dire patria, sacrificio, credo, onore, ma anche paura, morte e dignità .
Il 10 luglio del 1943 nella Piana di Castelluzzo di Gela, durante l’operazione Husky, avvenimento più noto come “sbarco degli alleati in Sicilia”, moriva a soli 23 anni Enrico Zupo.
Enrico Zupo era un teanese, Sottotenente del Regio Esercito da poco uscito dall’Accademia di Modena e posto a capo di un plotone della Divisione Livorno alla quale toccò l’ardua impresa di fronteggiare, affiancata da altri schieramenti nazisti, l’imponente avanzare degli invasori angloamericani.
Una morte eroica narrata da più testimoni, corrispondente in pieno alla scena classica dell’ufficiale di prima linea che per dirigere al meglio, ed anche per proteggere il proprio plotone, si esponeva troppo al fuoco nemico e veniva colpito dritto al cuore da un cecchino.
In poco meno di due mesi, com’è noto, lo scenario della guerra fu completamente stravolto e quindi gli americani passarono da invasori ad alleati ed i tedeschi di Hitler divennero i nemici. Quindi, alla fine della guerra, quando l’Italia rinnegò il regime fascista, la gloria fu riconosciuta, certamente a ragion dovuta, agli eroi della resistenza ma ovviamente non era possibile enfatizzare niente di tutto ciò che era accaduto per mano di Mussolini.
Così al Sottotenente Zupo, come a tanti altri valorosi combattenti caduti nello stesso particolare periodo storico, fu tiepidamente riconosciuta una medaglia d’argento al valor militare .
Se per un genitore la morte di un figlio è l’apice della sofferenza umana, il mancato ritrovamento della salma è come una tortura, perché aggiunge al dolore il peso della responsabilità che si avverte propria per il non riuscire ad offrire degna sepoltura al proprio figlio. Un tormento che non cessa, che somiglia al senso di impotenza di chi non può accudire la propria creatura e che non può trovar pace al pensiero del perdurare di uno stato di disagio di ciò che resta del figlio. Un’angoscia che purtroppo ha accompagnato i signori Gaetano Zupo e Maria Macciocchi, genitori del giovane ufficiale, per il resto della loro esistenza poiché i più svariati tentativi di ricerca della salma, estesi a vari punti della Sicilia, non hanno mai reso frutto ed i citati congiunti, così come i suoi quattro fratelli, sono ormai anch’essi deceduti.
Enrico Zupo, al di là della carriera militare, era un atleta: campione di scherma e vincitore di diversi titoli nella stessa disciplina oltre che appassionato calciatore. A Teano era molto conosciuto ed amato e fu protagonista di un’impresa di grande valenza sociale, soprattutto se si considera l’epoca: ebbe infatti l’idea di trascinare numerosi giovani per realizzare con loro quello che fu il primo campo di calcio della città ottenuto ripulendo e spianando un fondo del Comune proprio nei pressi dell’attuale Stadio Comunale di Sant’Antonio.
L’opera mosse, prima, durante e dopo la realizzazione, una forte motivazione ed una grande spinta all’aggregazione tra i giovani sidicini e sancì l’inizio di un’era per la tradizione calcistica teanese.
Così, l’11 luglio del 1945, nacque la squadra ufficiale di calcio della città e fu intitolata proprio ad Enrico Zupo a due anni dalla sua scomparsa, com’è tutt’oggi denominata, non certo per le sue gesta da militare.
Quindi, la memoria di un valente giovane sidicino, caduto per la Patria, non fu degnamente onorata dallo Stato ma subito celebrata dalla gente, dal popolo per quanto lui aveva dato al popolo stesso.
Ma la sua storia continua: a quasi 70 anni dalla morte ed a seguito di espressa richiesta formulata dal Direttore di questo giornale Antonio Guttoriello, è in corso l’iter per l’intitolazione di una strada allo stesso Enrico Zupo.
Nel ricordo di questo nostro valente concittadino, oggi, alla distanza temporale che ci consente una visione più nitida ed obiettiva sugli avvenimenti della seconda guerra mondiale, un’attenta riflessione dovrebbe indurci a riconoscere al Sottotenente Enrico Zupo, così come a tutti i combattenti fedeli agli ordini del regime, la stessa dignità da subito decantata in favore dei partigiani. Perché lo stesso valore morale accomuna qualsiasi combattente, qualunque sia il colore della divisa. Quindi l’onore al merito va al giovane Enrico come al Piero di De Andrè, ai nazisti come ai marines, ai talebani o a qualsiasi altro militare, perché l’appartenenza ad un esercito non può mai essere una colpa, mentre la guerra è sempre una piaga provocata da governanti posti al riparo dal fuoco.