Dalla tesi di laurea "La traduzione italiana del romanzo La Incognita" di Benito Perez Galdos. Grossi Maria Flora
Il romanzo epistolare La Incógnita rappresenta un punto di svolta fondamentale nella narrativa di Benito Pérez Galdós, sia dal punto di vista argomentativo che stilistico. Egli, infatti, accantonò il romanzo storico, in cui tanto aveva espresso i suoi ideali e le sue convinzioni, per trattare di fatti di cronaca. Il romanzo è composto da 42 lettere: 41 sono scritte da Manolo Infante tra novembre del 1888 e febbraio del 1889 e solo una, l’ultima, da Equis X.
Manolo è un giovane aristocratico che si trasferisce dalla noiosa Orbajosa a Madrid, ospite del suo padrino, il ricco Cisneros.
Manolo, nelle sue lettere, racconta tutto ciò che succede a Madrid all’amico Equis X, rimasto a scontare i suoi peccati (che però non sappiamo) nella triste e gretta Orbajosa, città immaginaria, famosa per l’aglio.
Non sappiamo chi sia realmente Equis, ed il suo nome contribuisce alla forma di anonimato. Sappiamo che è uno scrittore, come dice più volte Manolo nel testo, che è a Orbajosa per scontare dei peccati. Ma non sappiamo se esista davvero oppure no.
Manolo non tralascia i particolari, nemmeno quelli a prima vista più insignificanti. Descrive tutti i vari personaggi che entrano in contatto con lui e si sofferma soprattutto sulle vicende della coppia composta da Augusta Cisneros e Tomás Orozco, e dei numerosi presunti amori della donna.
Egli stesso si innamora, o meglio, crede di amare Augusta, si dedica all’indagine ma non riesce a scoprire nulla, poiché è talmente coinvolto emotivamente che riesce solo a fare supposizioni. E alla fine, con la morte di Viera la sua confusione aumenta ancora di più perché non si sa se sia stato omicidio o suicidio.
Nella prima lettera descrive il suo arrivo a casa del suo padrino, don Carlos María de Cisneros, che aveva conosciuto da piccolo durante una visita a Madrid con la madre per vedere alcuni dottori. Il padrino lo accoglie a braccia aperte e si mette a ricordare vecchi episodi che li accomunano. Lo riempie di attenzioni e lo invita spesso a pranzo, presentandogli numerosi membri della società che conta. Lo rende partecipe delle sue conversazioni filosofiche e artistiche, nelle quali si vanta di possedere quadri originali e di valore per far vedere che è uno che conta, uno che ha.
Atteggiamento, questo, che a Manolo non piace poiché capisce che il padrino si impone un ruolo con il fine di compiacere e distinguersi, ruolo tipico della borghesia in ascesa di quel periodo a cui anche Galdós è contrario.
Il giovane parla infatti delle sue origini nobili e della sua famiglia che non tollera le ostentazioni delle ricchezze della borghesia in ascesa, caratteristica che appartiene pienamente al suo padrino.
Augusta, unica figlia di Cisneros, entra già nella seconda lettera, ma diventa protagonista del cuore di Manolo dalla terza. L’amore/odio per la cugina copre una buona parte del romanzo. A volte la adora, crede di esserne innamorato. Altre volte la crede una traditrice e peccatrice. Prima si scaglia contro l’opinione negativa che Equis ha della cugina, poi l’ appoggia pienamente e ci aggiunge il suo.
Il salotto del padrino è anche teatro degli ideali politici dei vari personaggi. Lì si parla di anarchia (lettera 4 del 17 Novembre), della situazione della Castiglia (lettera 3 del 16 Novembre e lettera 12 del 16 Dicembre) e dell’ingresso il politica di Manolo (lettera 11 del 15 Dicembre).
Federico Viera, colui che verrà alla fine ucciso, entra nella quarta lettera: Manolo riesce subito ad instaurare un’amicizia vera con lui. Federico è un nobile decadente che vive ormai alla periferia di Madrid insieme alla sorella e ai suoi domestici. Vive di escamotage e si dedica alle donne e al gioco d’azzardo. È coperto di debiti e, come confessa a Manolo, potrebbe salvarlo solo un colpo di fortuna. È figlio del farabutto e sperperatore Joaquín Viera, si è abituato ai regali, alla dissipazione, al lusso, alla generosità e ai vizi. Non ha mai seguito studi letterari, veste bene indossando abiti di marca, frequenta per costume e per necessità il gran mondo, sa distinguersi, è ben accetto e ricercato. Non c’è un ricevimento o una cena a cui lui manchi, soprattutto a casa dei Cisneros, che lo invitano spessissimo per averlo come ascoltatore e ammiratore.
Poco spazio viene invece dedicato nella prima parte del romanzo a Tomás Orozco, marito di Augusta. Manolo non sa descriverlo, non ha capito ancora che tipo di persona sia, egli stesso ammette che:
«Es hombre que vale mucho, sí; pero reconociendo su mérito, no he acabado de entenderle todavía[1]».
Non c’è nemmeno una persona che parli male di lui, per questo Manolo inizia a chiamarlo “Santo”.
Di lignaggio assolutamente non illustre, Tomás è anch’egli figlio di un imbroglione, José Orozco, “socio” di malefatte di Joaquín Viera, ma è riuscito a emergere come opposto del padre. Sempre pronto ad aiutare il prossimo in maniera silenziosa e umile.
A causa dell’amore per Augusta e dei sospetti sulle sue presunte relazioni, Manolo abbandona pian piano la politica, i discorsi alla Camera e tutto ciò che lo aveva portato a Madrid. Lui odia la politica, preferisce raccontare a Equis X fatterelli, pettegolezzi, descrivere ciò che fanno i numerosi personaggi del romanzo. Ma la politica, lui, la odia. La vede ridicola e inutile.
«En el tumulto del paseo me parece oír el cencerro gordo de la Cámara llamando a votación, y la conciencia se me alborota un tantico por el abandono en que tengo mi mandato. ¡Qué le hemos de hacer! Los infinitos asuntos del distrito también aguardan tiempos mejores, y habías de ver las arrobas de cartas que tengo aquí, abiertas ya y medio leídas, pero no contestadas. Ni aun he podido formar la nota de chinchorrerías que en las últimas semanas me han encajado esos pedigüeños voraces. Ya se hará, y que el demonio cargue con ellos. A fe que no piden nada los angelitos. Si te tropiezas con esos brutos impertinentes, y se lamentan de que no les escribo, diles lo que se te ocurra, verbigracia, que no escribo porque todo el tiempo ¡claro!, lo necesito para gestionar. Eso es lo que ellos quieren, que uno se queme la figura y eche los hígados, de ministerio en ministerio, constituyéndose en servidor de sus ambiciones y en instrumento de sus ruines envidias. Les dirás que, según tus auténticas noticias, vivo sin vivir en mí por servirles y hacerles el gusto, que soy su esclavo, y que se vayan a la mismísima porra[2]».
Un pomeriggio del 26 dicembre, Manolo si reca al Circolo, come di consueto, per rimanere aggiornato sulle vicende dei madrileni e sente alcuni commenti su Orozco. Non i soliti commenti positivi, ma, al contrario, ingiurie su lui e sull’onestà di sua moglie.
Questo scatena nuovi sospetti e inizia a giocare all’investigatore: ogni uomo può essere il possibile amante di Augusta. La segue, analizza i comportamenti della donna e delle persone che frequentano la casa del padrino. Sospetta di tutti. I sospetti ricadono insistentemente anche sul suo amico Viera, che però, smentisce, convincendolo. Viera è, infatti, impegnato in un’altra questione: sua sorella Clotilde, visto l’astio di Federico nei confronti di Santanita, commesso di negozio, scappa con il giovane e organizza in fretta e furia il matrimonio, invitando il padre Joaquín.
La tragedia si compie, inaspettata, nella lettera 28. Calderón, uno dei frequentatori del salotto del padrino, corre a svegliare Manolo per dirgli che Federico Viera è stato trovato morto in una discarica, chiamata “el terreno del pirotécnico”. Non si sa chi sia stato, si formano solo numerose supposizioni: debiti di gioco, donne, vendette… I vari testimoni rilasciano dichiarazioni differenti le une dalle altre, le ipotesi sono varie, l’arma del delitto non si trova.
Nel salotto di Cisneros quella sera si evitano i soliti argomenti. Sono tutti scossi. Anche Augusta, colta da un malore, chiede a Manolo di andare in camera sua e spiegarle quello che è successo.
Dopo la sepoltura di Viera, Manolo inizia a raccogliere informazioni per cercare di scoprire il colpevole. Invita a pranzo la Peri, un’amica “intima” di Federico, per carpirle informazioni e se ne innamora, va sul luogo del delitto per fare rilevamenti, confronta le varie versioni del crimine.
Molti, persino i giornali, accusano e sospettano di Orozco.
Cisneros paga il silenzio di Peri con dei regali.
Le ultime lettere, raccolgono tutte le numerose versioni dei personaggi. Manolo le raccoglie tutte e le offre a Equis in modo che l’amico possa aiutarlo a vedere ciò che lui ha sotto il naso ma non trova.
Poi alla fine, decide di interrogare la cugina. In cuor suo la crede colpevole e cerca di farla parlare in tutti i modi. Ma lei, al contrario, gli chiede di smetterla di esasperare la situazione e di dare alito alle voci che circolano insistentemente sull’accaduto.
Manolo insiste, cerca di vederla più volte. Le confessa il suo amore e diventa sempre più insistente. Alla fine la cugina ammette:
«La última palabra, y quizás la confesión más sincera: No he sido honrada; pero estoy decidida a serlo ahora, y lo seré
hasta el fin de mis días[3]».
Ed è a questo punto che Manolo decide di tornare per un po’ a Orbajosa per staccare la spina.
Ma un nuovo colpo di scena anima il romanzo: da Orbajosa arriva Juan Tafetán che porta a Manolo un pacchetto da parte di Equis e notizie sconcertanti.
Il popolo di Orbajosa è furioso nei suoi confronti poiché ha abbandonato la politica e non ha aiutato il paese nelle assemblee. Venendo meno ai suoi impegni politici, Orbajosa ha perso numerosi servizi pubblici ed è caduta in uno stato ancor più degradante rispetto a prima. Per questo il popolo di Obrajosa lo attende per linciarlo pubblicamente.
Le notizie preoccupano Manolo che continua a fissare quel pacco.In un primo momento crede che siano babà, ma poi apre e trova cinque quaderni manoscritti quasi della stessa grandezza e cuciti stretti con filo rosso. Apre e osserva che conosce quella scrittura ma non ricorda di chi sia. Poi trova i nomi di Augusta, Malibrán, Orozco disposti in cima ai pezzi che vanno a formare un dialogo. Si fissa sul titolo del primo quaderno e legge: REALTÁ, romanzo in cinque atti. Ma continua a non capire.
Arriva allora la risposta di Equis, l’unica del romanzo. L’amico, infatti, fino ad allora non gli aveva mai risposto. Gli ricorda che quella scrittura è la sua e gli scrive di aver custodito con cura tutte le lettere nella caja del ajo dove teneva l’ultimo raccolto. A queste lettere, tutte raccolte con un spago, aveva messo una fascetta con scritto “l’incognita” e che queste, come per magia, si erano trasformate in un romanzo dialogato
[1] Benito Pérez Galdós, La Incognita, Madrid, Perlado,1906, p.96.
[2] Ivi, pp. 121-122.
[3] Ivi, pag 326.