Miei cari sparuti lettori, nel settimanale appuntamento di oggi vorrei smetterla di far le bucce alla nostra disastrata amministrazione comunale: serve a così poco per chi ha i paraocchi e per chi ragiona per assiomi o per passioni e non per logica, che sprecare ulteriore tempo ed inchiostro a convincerli rischierebbe solo di rafforzarne i fallaci convincimenti. Quest’ultima cosa non me la perdonerei mai. Proveremo, allora, a volare un tantino più in alto ed a parlare di avvenimenti di cronaca nazionale che pure non mancano di mettere in luce situazioni paradossali, legate, il più delle volte, ad una mentalità italica variegata e polimorfa, nata dal coacervo di tante culture e modi di pensare che si sono succeduti e mescolati durante le varie dominazioni straniere, non trascurando la presenza costante e pregnante, nella nostra storia, della Chiesa, alla quale pur bisogna riconoscere tantissimi meriti. Premetto che condivido al massimo il motto liberale di Marco Pannella “nessuno tocchi Caino” e detesto nell’anima ogni forma di giustizialismo: le idee della Rivoluzione Francese, ad esempio, sarebbero sopravvissute anche senza la presenza dei Girondini di Robespierre o, peggio dei Montagnardi, così come le posizioni di Gandhi e di Mandela hanno finito col trionfare applicando soltanto la politica della “non violenza”. Così come sono del pari convinto ch’è meglio tenere libero un colpevole che detenere un innocente. Eppure la recente liberazione dal carcere di Giovanni Brusca mi ha turbato non poco, come non poco mi ha lasciato esterrefatto la sua richiesta di perdono, tra ben studiate lacrime, ai familiari delle oltre 150 vittime da lui personalmente uccise o fatte uccidere. Da rabbrividire. Arrestato nel 1996, riconosciutogli lo stato di “collaboratore di giustizia nel 2000, è tornato in libertà dopo soli 25 anni di carcere ed aver goduto addirittura, nel 2004, di periodici permessi premio per buona condotta che gli consentivano di uscire dal carcere ogni 45 giorni, e poter far visita alla propria famiglia: anche la liberazione definitiva è stata anticipata di 45 giorni. Tralasciando di dire che continuava a gestire ingenti patrimoni dal carcere e che gli furono pure restituiti, per prescrizione di termini dell’accusa, duecentomila euro che gli erano stati sequestrati. Ma mi fermo nella elencazione dei privilegi commessi in relazione ai delitti commessi. In merito a questi ultimi, riporto solo la sua personale dichiarazione tratta dal libro “Ho ucciso Giovanni Falcone” di Saverio Lodato, edito da Mondadori: “Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento”. Brusca, dunque è un “pentito” divenuto collaboratore di giustizia; il pentimento è un sentimento fortemente cristiano (ricorderete che a ripeterlo, “vox clamantis in deserto”, era Giovanni Battista: “Pentitevi, pentitevi, e sarà vostro il regno dei cieli”) che avverte chi prova dolore, rimorso o rammarico per una cosa fatta o non fatta; comprende il desiderio impossibile di voler essersi comportato in maniera differente, e quello di una possibile riparazione. Non ha a che fare con il pensiero, o la paura o la convenienza della pena, magari ridotta, o con il castigo; rivela piuttosto un malessere, una scontentezza, un dispiacere. Una motivazione dell’animo! “Ma appena rimase solo (l’Innominato) si trovò, non dirò pentito, ma indispettito d’aver dato (la sua parola a Don Rodrigo). Già da qualche tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert’uggia delle sue scelleratezze. Quelle tante ch’erano ammontate, se non nella sua coscienza, almeno nella sua memoria..” Così Manzoni descrive, da par suo, lo stato d’animo dell’Innominato, il quale di angherie ne aveva forse fatte quante o più di Brusca. Ma la differenza tra i due, nell’analisi del pentimento, salta agli occhi evidente. La legge sui pentiti, però, non prevede particolari contrizioni morali da parte del collaboratore; cerca solo, in lui, uno strumento per debellare altra delinquenza, a volte esagerando nel premio di contropartita, come appare proprio nel caso del quale stiamo parlando. Ma ai familiari dei 150 morti ammazzati personalmente da Brusca, questo tipo di “premiato pentimento” che effetto farà? Si pentiranno loro di vivere in uno stato dalla memoria corta e dal garantismo esagerato. Non si pentirono delle proprie idee né Giordano Bruno né Cesare Battisti: e finirono arso sul rogo per opera della Santa Inquisizione il primo, ed impiccato nel castello di Trento ad opera degli austriaci, il secondo. Ma stiamo parlando di gente somma. Credo comunque che di una forte riforma della giustizia si abbia proprio bisogno.
Claudio Gliottone