Jean Améry, come molti altri ebrei, fu internato ad Auschwitz, Buchenwald e Bergen-Belsen. Vi rimase per due anni e riuscì a sopravvivere per caso. Nei venti anni successivi alla sua liberazione, avvenuta nel 1945, non affrontò mai, da letterato e da intellettuale, la sua esperienza della Shoah. Nel 1964, quando a Francoforte iniziò il grande processo ad Auschwitz, Améry decise di infrangere il suo personalissimo silenzio scrivendo il primo articolo sull’esperienza del Terzo Reich, un pezzo dedicato alla figura dell’intellettuale ad Auschwitz: “Quando però, grazie alla stesura del saggio su Auschwitz sembrò essersi infranta una confusa proibizione, sentii improvvisamente l’esigenza di dire tutto: così è nato questo libro”.
“Intellettuale a Auschwitz” è composto da cinque saggi diversi, accostati senza rigore cronologico, ma solo dall’intento, da parte dell’autore, di confessarsi e meditare su un vissuto che gli appartiene. Il titolo originale del libro è più articolato di quello scelto per la versione italiana, infatti, nell’edizione tedesca l’opera è intitolata: “Jenseits von Schuld und Sühne – Bewältigungsversuche eines Überwältigten” ossia “Al di là della colpa e dell’espiazione – tentativo di un sopraffatto”. Lo stesso Améry, in chiusura della prefazione, afferma: “Con questo libro non mi rivolgo ai miei compagni di sventura. Loro già sanno. Ciascuno di loro deve sopportare a proprio modo il peso di questa esperienza. Ai tedeschi invece, che nella loro schiacciante maggioranza non si sentono, o non si sentono più, responsabili degli atti al contempo più oscuri e più caratterizzanti nel Terzo Reich, spiegherei volentieri alcune circostanze che forse non sono state loro ancora rivelate”.
L’intellettuale a Auschwitz altri non è che lo stesso Améry o, per estensione, quel genere di persona che, secondo la definizione dello scrittore, ha predisposizioni per le discipline umanistiche e filosofiche e che ha scelto come suo sistema di riferimento quello spirituale. Un uomo che ha dedicato la propria vita allo studio, che è in possesso di nozioni approfondite e portato al ragionamento astratto. Come può sopravvivere un intellettuale nell’inferno di Auschwitz? Le difficoltà sono immani poiché in un luogo che annienta la dignità, che disumanizza ogni essere umano, la speculazione e la contemplazione sono decisamente inservibili. Quando ciò che muove gli istinti sono soprattutto la fame, il freddo, la sopravvivenza, è impensabile concedersi il lusso dello spirito. L’intellettuale è isolato ed odiato, diverso ed avulso. Odiato dalle SS per il fatto di essere ebreo, disprezzato dagli altri perché giudicato differente. Il tentativo stesso di rivendicare la propria identità di intellettuale di formazione culturale tedesca, all’interno di Auschwitz, è del tutto assurdo visto che “il patrimonio spirituale ed estetico era ormai divenuto indiscussa e indiscutibile proprietà del nemico”. L’ebreo, seppur di cultura tedesca, non poteva dichiarare la sua appartenenza a quel mondo perché oramai socialmente rinnegato e destinato all’annientamento. “Lo spirito nella sua totalità nel Lager si dichiarava incompetente. Rinunciava a porsi come strumento utile ad affrontare i problemi che ci venivano posti. Tuttavia – e qui tocco un punto essenziale – esso tornava utile al "superamento di sé", e non era cosa da poco”.
Classe '95 Giovane e Intraprendente internauta.
Digital Champion di Teverola, Aspirante membro del forum giovanile Teverolese.
Attivo nel sociale e nella web psychology, tra i vari hobby ho quello dell'illusionismo e della fotografia.
Per gentile concessione del Direttore i lettori potranno , attraverso il libro qui pubblicato, ripercorrere gli eventi che hanno portato alla realizzazione del Monumento equestre sito in Largo Croci a Teano.
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